Gli italiani “più italiani”? I Sardi. Lo studio della National Geographic Society

Gli italiani sarebbero un grandissimo mix genetico: gli unici a fare eccezione? I sardi ovviamente! Ed ecco perchè. Lo studio rientra in un progetto mondiale finanziato dalla National Geographic Society
A riportare la notizia, tratta dallo studio che rientra in un progetto mondiale finanziato dalla National Geographic Society, è il Corriere. Davide Pettener, antropologo del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, ha creato una banca di campioni di Dna per tracciare la storia genetica degli Italiani insieme a Donata Luiselli del Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna e collaboratori: «Gli Italiani? Non esistono. Si tratta solo di un’aggregazione di tipo geografico. Abbiamo identità genetiche differenti, legate a storie e provenienze diverse e non solo a quelle».
«Coinvolgendo i centri di donazione Avis abbiamo raccolto 3 mila campioni di sangue di italiani provenienti da tutte le regioni» racconta Pettener. La storia genetica degli Italiani, però, non è stata influenzata solo dalle migrazioni. Anche l’adattamento alle diverse pressioni selettive è stato determinante, influenzato la suscettibilità a malattie diverse. «L’evoluzione delle popolazioni dell’Italia settentrionale è stata condizionata da un clima freddo, che ha reso necessaria una dieta molto calorica e grassa» spiega Marco Sazzini, ricercatore del BiGeA. Oltre al clima e alla dieta un altro fattore che ha indirizzato gli adattamenti genetici degli Italiani, soprattutto in Sardegna e nell’Italia centro-meridionale sono le malattie infettive. In Sardegna, ad esempio, la malaria ha rappresentato una delle principali pressioni ambientali, mentre nel Sud la selezione naturale ha potenziato le risposte infiammatorie contro i batteri di tubercolosi e lebbra, le quali potrebbero però essere una delle cause evolutive alla base di una maggiore suscettibilità a patologie infiammatorie dell’intestino, come per esempio il morbo di Crohn.
Il caso della Sardegna
A proposito di Sardegna, un aspetto interessante di questi studi è quello relativo all’analisi delle popolazioni isolate. «I Sardi» sottolinea Pettener, «si differenziano da tutte le popolazioni italiane ed europee. Mentre la Sicilia è stata un hub per tutte le popolazioni mediterranee, la Sardegna conserva le più antiche tracce non avendo subito invasioni e si è differenziata da tutte le popolazioni europee al pari di Baschi e Lapponi. «Lo studio delle popolazioni isolate, come e più della Sardegna, per esempio come quella Arbëreshë (le popolazioni di lingua albanese stanziate in alcune zone del Sud), i Ladini, sparsi nelle valli delle Dolomiti, i Cimbri dell’Altopiano di Asiago o i Grichi e i Grecanici del Salento e della Calabria è interessante perché ci permette di vedere come eravamo, presumendo che ci siano stati pochi innesti nel tempo di Dna differente. Una vera macchina del tempo».

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C’è un angolo remoto della Sardegna dove la geologia incontra l’immaginazione popolare: è l’isola del Toro, il punto più meridionale dell’intera regione, una scheggia di terra vulcanica solitaria e affascinante, che emerge dalle acque 11 chilometri a sud di Sant’Antioco.
Il Toro, assieme a Vacca e Vitello, forma quella che viene chiamata, con un pizzico di ironia, la “triade bovina” dell’arcipelago sulcitano. Tre isole disabitate, rocciose e selvagge, che portano nomi da stalla ma raccontano una storia lunga milioni di anni. Ce la racconta il paleontologo Daniel Zoboli.
Dal punto di vista geologico, queste isole sono figlie del fuoco. Vacca e Vitello, come Sant’Antioco e San Pietro, risalgono al ciclo vulcanico eocenico-miocenico, che ha modellato questa parte della Sardegna fino a circa 15 milioni di anni fa. Ma l’Isola del Toro è qualcosa di diverso. È un “neck” vulcanico, ovvero il condotto centrale di un antico vulcano ormai eroso, formatosi durante un ciclo vulcanico più recente (tra Serravalliano e Pleistocene) che ha interessato varie aree dell’isola.
Le colate laviche che compongono il Toro, con una composizione tra il benmoreitico e il trachitico, sono state datate a 11,8 milioni di anni fa. Sono le prime tracce di un fenomeno che, nei millenni successivi, porterà alla formazione delle giare, del Monte Arci e del Montiferru, dando alla Sardegna alcune delle sue strutture geologiche più imponenti.
Con una superficie di appena 11 ettari e un’altitudine massima di 112 metri, il Toro si impone più per la sua posizione estrema e la sua origine profonda che per la sua estensione. Sospeso tra mare e magma, rappresenta non solo il limite fisico meridionale della Sardegna, ma anche un testimone immobile di una lunga storia vulcanica che ha scolpito il volto dell’isola.

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