Può raccontarci il suo percorso, come è nata questa passione per la politica?
Il mio impegno è iniziato nel volontariato da adolescente, con l’Azione Cattolica e la partecipazione ai campi antimafia, in particolare a Scampia. Proprio lì ho compreso in modo profondo quanto la politica, se fatta bene, sia uno strumento al servizio del bene comune. Ho imparato che gestire il potere non è una conquista personale, ma un atto di restituzione: un impegno assunto verso gli altri, non per sé.
Queste esperienze, unite ai valori trasmessi dalla mia famiglia, mi hanno insegnato a non restare a guardare, a non essere spettatrice passiva di ciò che accade nel mondo — dalle ingiustizie nella mia comunità ai grandi eventi globali. Ho sempre avuto paura degli abusi di potere e delle disuguaglianze, e da queste paure è nata la mia scelta di candidarmi giovanissima e di costruire un percorso di formazione e lavoro fondato sull’educazione e sull’impegno civile.
Fin da piccola ho sentito forte il desiderio di combattere la mafia — pensavo fosse quella la mia missione. Con il tempo, quel desiderio è cresciuto, trasformandosi in un impegno più ampio: lottare contro la povertà educativa. Credo che offrire alle persone gli strumenti per essere sé stesse e per autodeterminarsi nella propria comunità sia uno dei più grandi atti politici e pedagogici che si possano compiere.
Le due anime del mio percorso — educazione e politica — si intrecciano profondamente. Per me la politica è bene comune, è responsabilità collettiva, è farsi carico degli altri. Non riesco a immaginarmi in nessun altro ruolo, anche se essere giovane — e per di più una giovane donna — rende questo cammino spesso complesso.
Il mio impegno istituzionale è iniziato nel 2015, quando sono stata eletta consigliera comunale a Quartu Sant’Elena. Nel 2020 ho ricoperto l’incarico di segretaria particolare del sindaco Graziano Milia. Nel 2024 mi sono candidata alle elezioni regionali, ottenendo 3.012 preferenze. Attualmente collaboro con l’Ufficio di Gabinetto dell’Assessorato regionale della Difesa dell’Ambiente e sono Segretaria Provinciale dei Giovani Democratici per la provincia di Cagliari.

Chiara Pili
La parità in termini di presenza ma anche di importanza, delle cariche ricoperte in Italia ma soprattutto in Sardegna, a suo avviso, per le donne è sulla buona strada o nota invece dei passi indietro?
Da un lato, guardando al mio percorso potrei dire che stiamo facendo progressi. A 29 anni ho alle spalle un’elezione in consiglio comunale a 19 anni, dove ho ricoperto il ruolo di vicepresidente vicaria. Successivamente, sono stata segretaria particolare del sindaco della terza città della Sardegna. Nel 2024 mi sono candidata alle elezioni regionali, ottenendo 3.000 voti e risultando la seconda donna più votata del PD nella circoscrizione di Cagliari. Attualmente lavoro nell’ufficio di gabinetto dell’assessorato regionale della difesa dell’ambiente e sono segretaria provinciale dei Giovani Democratici a Cagliari.
Vedo molte giovani donne, sia nel mio gruppo che in generale, crescere e iniziare a fare esperienze politiche concrete. Tuttavia, essere donna spesso è un vantaggio solo se si aderiscono a determinate logiche. Spesso devi adottare comportamenti patriarcali o essere accondiscendente per farti valere. Ho la fortuna di far parte di un gruppo che valorizza le competenze al di là del genere, ma al di fuori di questa bolla, è evidente quanto si debba faticare il doppio per emergere.
Inoltre, noto che i passi indietro più grandi riguardano anche i giovani che vogliono fare politica. Lo scambio intergenerazionale è fondamentale, ma vedo che spesso i politici più anziani non vogliono investire sui giovani. Mi chiedo quale sia la paura nel voler investire sulle nuove generazioni, invece di ostacolare.
Cosa ne pensa del nuovo reato di femminicidio?
Ritengo che possa essere un grandissimo passo avanti, sia culturalmente che politicamente. Finalmente, si riconosce formalmente che le donne vengono uccise in quanto donne, il che è un passo importante per contrastare chi ancora nega questa realtà. Tuttavia, ritengo che non sia sufficiente. È fondamentale affiancare a queste misure politiche un serio investimento nell’educazione e nella rieducazione.
L’introduzione dell’ergastolo per i colpevoli di femminicidio è un segnale forte, ma non è sufficiente a prevenire questi crimini. È essenziale lavorare sulla prevenzione, affrontando le cause profonde della violenza di genere. Ciò significa investire in politiche educative che insegnano il rispetto, l’affettività, e la consapevolezza delle emozioni a scuola ma anche supportando la genitorialità.
Dobbiamo educare alla relazione, al rispetto reciproco e alla dignità di sé e degli altri. Questo lavoro deve coinvolgere le famiglie, le scuole, e tutte le realtà educative e culturali. Inoltre, all’interno del sistema carcerario, è necessario un percorso di accompagnamento e consapevolezza per chi ha commesso reati di questo tipo, affinché possano comprendere la gravità delle loro azioni e intraprendere un percorso di rieducazione.
Purtroppo, manca ancora un supporto adeguato per le figure professionali educative che possono intraprendere queste azioni integrandole con quelle di altri professionisti. È necessario investire in queste aree per creare una società più consapevole e rispettosa, e per prevenire la violenza prima che si manifesti.
Le fanno paura gli Usa misogini e sessisti di Trump e se sì perché?
Sì, queste politiche misogine e patriarcali mi preoccupano molto. Le azioni repressive, razziste e marginalizzanti di Trump non solo hanno un impatto diretto sugli Stati Uniti, ma hanno anche effetti a catena in Europa e in Italia. La cosa che mi spaventa di più è l’incertezza su quale evoluzione ci sarà in futuro.
Inoltre, mi preoccupa vedere quanto stiamo perdendo dal punto di vista culturale. La narrazione attuale ci fa sembrare che stiamo tornando indietro, nonostante siamo stati educati a non ripetere certi errori del passato. Con una chiave moderna, vediamo riemergere dinamiche che pensavamo superate.
Credo che sia fondamentale manifestare e far sentire la nostra voce. Anche se una manifestazione non cambia direttamente ciò che accade in America, è un modo per esprimere il nostro dissenso e cercare di influenzare il dibattito pubblico. Scrivere un post sui social può attirare attenzione, ma non basta. Dobbiamo riprendere l’abitudine di scendere in piazza, di esprimere chiaramente ciò che non va, e di cercare di cambiare le cose attraverso l’azione collettiva. È fondamentale farci ascoltare, perché chi governa deve tener conto delle nostre voci. Spero che possiamo reimparare a fare questo e a costruire un futuro più inclusivo e rispettoso.
Vorrebbe raccontarci un episodio di sessismo (o più di uno) che ha vissuto (se lo ha vissuto) nell’ambiente politico?
La cosa che mi ha sempre colpita di più è come certi atteggiamenti sessisti arrivino anche dalle donne e quello che mi ha sempre dato più da pensare e quando si deve alludere al fatto che sei dove sei non perché studi, hai competenze, hai un gruppo politico che cresce e ha una voce, ma perché hai alle spalle un uomo a cui probabilmente hai donato il tuo corpo per arrivarci, lo dico elegantemente. Tuttavia, ciò che mi colpisce sono le micro-situazioni che, forse in modo inconscio, riflettono un patriarcato radicato. Per esempio, mi capita spesso di essere chiamata con vezzeggiativi come “chiarina” o “chiaretta,” termini che non vengono mai usati per un uomo. Questo tipo di trattamento suggerisce che si venga percepite in modo riduttivo, indipendentemente dalle competenze.
Un episodio che mi ha colpito particolarmente è stato quando un collega del consiglio comunale, vedendo la mia giovane età, mi ha detto di prendere i fazzoletti e soffiarmi il naso, come se la mia età fosse un motivo per sminuire il mio ruolo. Questo tipo di commenti, sebbene possano sembrare provocatori, mi chiedo se verrebbero mai rivolti a un uomo nella stessa situazione.
Un altro episodio che mi ha colpito è stato quando una persona ha dato per scontato che, in quanto donna, avrei inevitabilmente desiderato avere figli. Questo presupponeva che, se fossi rimasta incinta, sarei mancata dal lavoro, come se la mia carriera fosse necessariamente secondaria rispetto alla maternità. Questo tipo di presupposizioni non vengono mai fatte nei confronti di un uomo della mia età, e trovo che sia un’aspettativa ingiusta e limitante.
Quanto i suoi studi l’hanno formata per la vita politica?
È una bella domanda, perché i miei due percorsi sono andati e stanno andando di pari passo, in una formazione continua di scambio e confronto. Ho iniziato a fare politica durante le scuole superiori, e successivamente mi sono iscritta a giurisprudenza. La politica e il volontariato hanno influenzato molto la mia decisione di cambiare percorso universitario. Volevo capire come funzionasse davvero il mondo, non solo attraverso la teoria e le ideologie.
Quando mi sono iscritta prima a Scienze dell’Educazione e poi a Pedagogia, ho iniziato a notare uno scambio continuo e positivo tra i due ambiti. Mi sono resa conto di quanto l’educazione, la pedagogia e la politica siano strettamente interconnesse. L’azione politica è educazione verso la collettività, mentre la pedagogia fornisce modelli e buone pratiche che possono essere di esempio per l’azione politica.
Nonostante sia un periodo della mia vita molto impegnativo, mi sento fortunata e privilegiata per poter vivere questo incontro tra le mie due passioni. È bellissimo vedere come ciò che studio possa essere applicato nella mia vita politica, e come le esperienze politiche possano essere spunto di riflessione per il mio percorso professionale.
Senza soffermarci sul desiderio personale, secondo lei è fattibile nel nostro Paese conciliare una carriera politica con quella genitoriale per le donne?
Purtroppo, la risposta è molto semplice: dipende dalle risorse economiche di cui si dispone. Se si è in una buona condizione economica e si desidera conciliare carriera politica e genitorialità, è possibile farlo. Però al prezzo che verrai comunque criticata da qualcuno. La carriera politica implica orari e impegni che possono essere difficili da conciliare con il ruolo di genitore, specialmente se si vuole essere presenti in tutte le fasi della crescita dei propri figli. Implica questa difficoltà perché la madre ha socialmente un ruolo principale rispetto al padre.
La realtà è che viviamo in una società in cui non è ancora del tutto accettato che una donna di potere possa essere anche una madre presente. Il concetto di madre è strettamente legato al concetto di cura del focolare, non al poter scegliere come gestire il tempo e oltretutto contemplare che il tempo se si fa un figlio in due lo si gestisce in due.

Chiara Pili
La parola patriarcato è abusata come dicono alcuni o è ancora una forma di potere presente in quasi tutti gli aspetti della società?
Dalle risposte precedenti, credo sia chiaro che ritengo il patriarcato ancora molto radicato in tutti gli ambiti della nostra società. Forse, qualche anno fa, avrei detto che il termine era abusato, ma con il tempo, diventando più autonoma e affrontando il mondo lavorativo e politico, mi sono resa conto di quanto il patriarcato sia radicato e spesso inconsapevolmente presente, anche in noi stesse. Penso che ci sia ancora molto da fare per abbatterlo. Serve una presa di coscienza a livello educativo e pedagogico, non solo per le donne, ma per tutta la società. Anche molte donne possono avere atteggiamenti patriarcali, perché la società stessa lo è. Anche in ambiti come quello politico, ci si trova spesso a dover adottare comportamenti aggressivi o subdoli per farsi valere, perché sembra l’unico linguaggio comprensibile in un contesto dominato da una mentalità maschile e patriarcale.
Anche in altri contesti, se non si alza la voce o non si adotta un certo tipo di comportamento, è difficile farsi valere. Invece, inclusione, gentilezza, condivisione e un approccio comunitario dovrebbero essere valori fondamentali per evolverci e portare avanti il cambiamento.
Questa riflessione ci fa capire quanto siamo ancora fermi o addirittura stiamo facendo passi indietro, come dimostrano le politiche di Trump. Ci siamo illusi che alcuni traguardi fossero stati raggiunti solo perché se ne parlava di più, ma in realtà c’è ancora molta strada da fare.
Quali potrebbero essere tre interventi che agevolerebbero la vita delle donne se messi in campo oggi?
È difficile individuare tre interventi specifici che possano agevolare la vita delle donne, perché ogni contesto ha esigenze diverse. In prima battuta, potrei rispondere con tre azioni fondamentali: supporto alla genitorialità, sostegno all’imprenditorialità femminile, e investimenti in formazione ed educazione. Tuttavia, la vera riflessione riguarda il fatto che le politiche dovrebbero smettere di pensare per categorie e concentrarsi sulle esigenze reali delle persone.
La politica dovrebbe intervenire a livello di comunità, ascoltando le esigenze specifiche di ogni contesto e fornendo strumenti pratici per una reale autodeterminazione. Questo significa creare servizi di ascolto e presa in carico che non si limitino a chi è ai margini, ma che siano accessibili a chiunque abbia bisogno di un indirizzo o di un supporto.
È importante investire sulle persone, fornendo loro strumenti per una consapevolezza di sé e per una crescita personale e professionale. Questo include politiche di affettività, educazione sentimentale e formazione continua, per garantire a tutti una dignità e una partecipazione attiva nella comunità, con un miglioramento complessivo della qualità della vita.
In conclusione, il vero cambiamento deve partire dalla cultura e dalla società, ascoltando le persone e fornendo loro strumenti concreti per una vita migliore.
Come e dove si vede fra 10 anni?
Rispondere a questa domanda è difficile, allo stesso tempo mi fa sorridere, perché ho dovuto combattere con la necessità di controllare tutto, e sapere davvero, secondo me, cosa avrei fatto nei prossimi 10 anni nei minimi dettagli, ma ho imparato, anche grazie alla terapia, a gestire questa mia tendenza a voler controllare ogni dettaglio del futuro. Ho capito che è importante avere desideri, ma anche lasciare spazio alle sorprese della vita.
Fra 10 anni, non mi vedo, ma ho dei desideri, che magari già tra qualche mese non saranno più gli stessi, vorrei avere base a Cagliari, in Sardegna, che ho capito essere il mio punto di riferimento principale, anche se vorrei a viaggiare per lavoro, politica o ricerca, per conoscere nuove persone e culture.
Spero di essere realizzata professionalmente, di aver raggiunto obiettivi importanti e di aver contribuito al bene comune attraverso la politica. Sono ambiziosa, e credo davvero nella possibilità di cambiare le cose in meglio, mettendo il potere al servizio degli altri. Sperò di avere dei nuovi sogni, desideri che ancora non esistono ora.
Tuttavia, il desiderio più grande è essere felice e circondata da persone che mi amano e mi stimano. Credo che la felicità derivi dalle relazioni autentiche e dall’affetto delle persone che ti circondano. Spero di essere soddisfatta di ciò che faccio e di avere delle persone con cui condividere qualsiasi successo che avrò raggiunto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA