Non solo calcio: Alberto Diaz, da oltre 20 anni pioniere in Sardegna della nobile arte del Brasilian Jiu Jitsu
A destra Alberto DiazIl veterano delle maggiori competizioni europee Alberto Diaz non è solo uno dei massimi esponenti italiani di Jiu Jitsu ma, bensì, colui che ha contribuito a lanciare in Italia la nobile arte marziale. Proprietario da due anni, insieme alla moglie
Il veterano delle maggiori competizioni europee Alberto Diaz non è solo uno dei massimi esponenti italiani di Jiu Jitsu ma, bensì, colui che ha contribuito a lanciare in Italia la nobile arte marziale. Proprietario da due anni, insieme alla moglie Viviana Passa, sua ex allieva, della palestra “Roger Gracie Academy”, il cagliaritano racconta come è riuscito a portare a termine la sua mission, tanto da vantare oggi la nomina di responsabile delle sette accademie “Gracie” sparse per lo stivale.
L’arte del cedevole, del flessibile: è questa la traslitterazione dal giapponese del termine “Ju Jitsu”, lo sport da combattimento nato nel continente del Sol Levante e traghettato negli Usa, dove ha attecchito in modo del tutto particolare in Brasile. L’opera della nuova configurazione sudamericana è il risultato dell’obbiettivo portato a termine dalla famiglia Gracie, i capostipiti della tecnica orientale.
Il propulsore italiano e isolano Diaz si è battuto per emancipare il movimento quando, nel 1993, lui e pochi altri si interessavano della pratica e della promozione di questa disciplina, ancora sconosciuta. Alberto era un ragazzino talentuoso nel campo della difesa personale, passione per lui atavica. Quando gli vennero mostrate delle cassettine dei combattimenti “valetudo” disputati oltreoceano, ne rimane completamente affascinato. Da qui, partì la sua crociata nel nome del Brasilian Jiu Jitsu. «Ai primordi decisi subito di puntare in alto contattando Fabrizio Nascimento, grande campione al tempo in materia. Ero una giovane cintura blu e ho scomodato grandi nomi: dopo di lui, infatti, iniziò quella che oggi è una solida amicizia con Roger Gracie, il più grande guerriero che vanta dieci titoli mondiali. Sono spesso stato a Londra da lui e l’ho ospitato in Italia, sia per allenarmi che per seguire vari upgrade».
Questa disciplina in realtà nasce in India, per opera dei monaci buddisti che necessitavano di tecniche di difesa pacifiche contro il banditismo durante i loro viaggi di pellegrinaggio in territori impervi. Facile immaginare quindi che lo scopo risulta ancora quello di dimostrare come, persone più deboli riescano in modo efficace a neutralizzare atleti molto dotati. Gli esponenti dell’istruita famiglia Gracie erano mingherlini e, al tempo, sfidavano senza regole gli assi delle altre arti marziali per esprimere la loro superiorità. Sono stati gli artefici di una vera e propria rivoluzione: già negli anni ’20 avevano inventato una dieta alcalina e stilato dodici comandamenti da rispettare come un sacro dogma. Non si trattava di una famiglia di ceffi violenti, la filosofia che tramandavano era molto sottile, aveva una visione lungimirante. «Il Jiu Jitsu non richiede doti fisiche particolari – specifica Diaz – al di là delle medaglie che si possono accumulare, la magia più grande che si può ottenere riguarda la trasformazione intrinseca dell’essere umano: che tu possa diventare un campione o meno, la lezione che assimili è quella di non essere mai condizionato dalla paura perché vivi al 100%. Praticando, acquisisci un alto grado di self-confidence che ti fa da scudo durante tutta la tua esistenza».
Il guerriero sardo conta nella sua carriera, ancora in voga, un terzo posto alla competizione europea di Lisbona e un primo posto all’ “International Open” di Londra nel 2014, oltre a diversi secondi e terzi posti negli altri “Open” Internazionali. Oggi continua a partecipare, insieme ai suoi atleti e quindi al suo team, a prestigiosi challence: «I miei allievi partecipano con onore ai campionati europei, manifestazioni che contano 4000 atleti – dichiara, soddisfatto – Siamo molto attivi, ogni stagione prendiamo diverse medaglie: siamo reduci da un mio terzo posto all’ “Open” di Londra, due ori e un primo posto come team. Preciso che però, come accademia, non vediamo solo l’aspetto competitivo, anzi, attira di più la nostra attenzione il principiante o la donna rispetto al campione».
La versione “Brasilian” si discosta molto dal tradizionale Ju Jitsu che, di natura, è molto più esplosivo ed atletico. La recente disciplina evita colpi e gareggia sui dettami di una lotta molto onesta, dove è consentito l’uso di leve articolari, strangolamenti e gerarchie di posizioni. Il duello parte uno davanti all’altro e finisce a terra fino alla resa dell’avversario o, a tempo scaduto, secondo un punteggio sancito dalla giuria. «Si tratta di una lotta molto controllata – spiega il maestro – Decidi tu il grado di offensività da infliggere. Si inizia imparando semplici tecniche di difesa e si continua articolando sempre più la tecnica e il movimento. Si impara in modo repentino ed è uno sport adatto a tutti, dal quale si traggono molti benefici fisici. Ma il segreto non è qui, ciò che acquisisci sul tatami lo applichi nella quotidianità, modifica il tuo stile di vita».
La curiosità e la tenacia ha premiato il maestro e, il suo percorso, non ha fatto che consolidare e perfezionare la sua passione. «Se penso agli albori e guardo ad oggi, la crescita è stata esponenziale. Ho creato il mio piccolo impero e ne sono orgoglioso ma la mia soddisfazione non si conta nel guadagno monetario. Viaggio molto, le accademie mi cercano e chiedono il mio supporto. Vivere della propria passione è una molla immensa, vuol dire essere una persona felice.»

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