Cagliari, lo spirito mostrato a Roma è quello giusto. Diego Lopez ha bisogno di tempo per creare la squadra ideale per il suo gioco

Il Cagliari deve migliorare. A dirla così sembra una frase fatta, giusta per concederla in pasto a giornalisti e tifosi. Ma quando Diego Lopez si è presentato in conferenza stampa ha semplicemente formalizzato un pensiero generale: la squadra deve migliorare,
Il Cagliari deve migliorare. A dirla così sembra una frase fatta, giusta per concederla in pasto a giornalisti e tifosi. Ma quando Diego Lopez si è presentato in conferenza stampa ha semplicemente formalizzato un pensiero generale: la squadra deve migliorare, come tutte. Deve farlo nell’approccio alla partita, nella gestione della palla, nell’assimilazione dei movimenti difensivi. Deve farlo soprattutto nella mentalità, perché quando la mente crolla nei suoi propositi, allora le caratteristiche tecnico-fisiche di un giocatore vengono meno. Il caso Crosta è stato emblematico: il rigore lo ha condizionato per tutto il primo tempo e costretto a raccogliere nel sacco ben tre gol.
Il Cagliari aveva una idea interessante di gara, e l’interesse era quello di giocarsi la sfida puntando sull’abc del calcio: difesa e ripartenza. Non si poteva fare diversamente contro una formazione, la Lazio, che attualmente risulta la migliore del campionato assieme al Napoli, che fa faville in Europa schiantando in trasferta squadre di buon rango come il Nizza; che ha steccato una sola gara in nove giornate proprio contro il Napoli e solo perché due infortuni hanno rovesciato completamente l’inerzia del match. I biancocelesti sono allenati e portati ad esprimere il proprio talento al massimo delle proprie capacità agonistiche, forti della certezza davanti che il buon Ciro Immobile farà sempre la cosa giusta al momento giusto. E proprio la punta della nazionale ha indirizzato le sorti di Lazio-Cagliari inserendosi nel primo dubbio del portiere rossoblù Luca Crosta: uscire o non uscire? È un attimo, ma vale tutto. Contatto, rigore. Crosta rimane a terra, quasi piange un po’ per lo scontro e un po’ per l’errore. Intuisce la conclusione dell’avversario, ma la palla entra. E la testa gira in un modo per cui ogni qualità fisica e tecnica viene dimenticata. Infatti inizia ad uscire in modo sconsiderato su cross e calci d’angolo, gioca male coi piedi i retropassaggi dei compagni, sembra sempre insicuro su qualunque pallone entri nell’area. In pratica il fratello scarso del portiere risoluto che nel maggio scorso aveva fermato il Milan. Ma come spesso si vede, anche solo una piccola imprecisione – in momenti di crisi – può rendere negativa qualunque preparazione fatta in precedenza.
Diego Lopez non è esperto in miracoli e chiaramente non è riuscito a farne. Detto ciò, ha provato a seguire la strada delle cose semplici ed immediate, di una base che sia la propria e non ricalchi il lavoro di Rastelli. Ci vorrà tempo affinché i suoi ragazzi possano assimilare un modulo, il 3-5-2 (o 3-4-3) che in Sardegna non si vedeva più dal primo Cagliari di Ventura. Può essere una buona soluzione, può dare una impronta diversa e può risolvere uno dei problemi più gravi degli ultimi due anni, ovvero il gioco sulle fasce e la inferiorità numerica a centrocampo. Con la Lazio si è vista voglia di fare, di ripartire, di provarci. Mancano gli automatismi difensivi, ma le novità vanno fatte proprie col tempo. Lopez ha bisogno di tempo. Ma il campionato incombe e tra due giorni c’è il Benevento alla Sardegna Arena, formazione materasso che aspetta proprio il confronto coi rossoblù per racimolare i primi punti della stagione. Vincere non è solo d’obbligo ma atteso come acqua in mezzo al deserto, se è vero che la terz’ultima in classifica ha gli stessi punti e che le cinque sconfitte di fila pesano come un macigno sui corpi dei giocatori. Autorizza ottimismo lo spirito utilizzato dalla squadra in quel dell’Olimpico: se replicato anche in casa, sarà foriero di punti e sorrisi.

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