Le strade del vino: la Cantina Mulleri, dalla vigna di famiglia al mercato del nettare degli dei

Passare dalle parole ai fatti, è sempre la cosa più difficile. Le idee e le passioni si trasformano facilmente in una professione il più delle volte soltanto nelle chiacchiere tra amici, nel mondo dell’immaginazione, ma per realizzare i propri desideri
Passare dalle parole ai fatti, è sempre la cosa più difficile. Le idee e le passioni si trasformano facilmente in una professione il più delle volte soltanto nelle chiacchiere tra amici, nel mondo dell’immaginazione, ma per realizzare i propri desideri bisogna sporcarsi le mani, tradurre quegli auspici in fatti. Una strada non sempre facile, che da qualche anno Gianluca Mulleri ha deciso di imboccare con determinazione, trasformando la sua passione per il vino, elemento presente nella sua vita fin da quando era bambino, in un’attività, che ora comincia a dargli le meritate soddisfazioni.
L’idea di far crescere una azienda propria, di trasformarsi da semplice appassionato ad imprenditore, Mulleri l’ha sempre coltivata, ma c’è voluto del tempo per arrivarci. Solo dopo diverse esperienze professionali e scelte di vita importanti, è arrivata la decisione di fare il grande salto. La famiglia, sua moglie e suo fratello, lo ha sempre sostenuto, aiutato e consigliato. La cultura contadina dice che se semini oggi forse domani raccoglierai. Quel forse è legato al quanto ci credi, quanto ti impegni, quanto sogni e quante possibilità ti dai, anche di sbagliare.
La Cantina Mulleri è diventata così una presenza nota a tutti i frequentatori delle principali fiere e road show, dal Vinitaly al Prowein, dal Fancy Food all’Anuga.
Come nasce la tua passione per il vino?
Sono nato in una famiglia dove c’era una grande tradizione vinicola, dove si coltivavano le vigne e dove il vino si faceva in casa. L’odore della malvasia e del moscato nel magazzino dei giochi, della pesca con il vino sin da molto piccolo, delle sere d’estate con gli acini spalmati sul viso, le mani appiccicose dello zucchero della frutta, sono i miei ricordi di infanzia. Senza che me ne rendessi conto quello era il mio imprinting culturale, che poi crescendo si è definito sempre più in adolescenza, con i viaggi in cantina a incontrare i parenti e a caricare il vino e poi giù in cucina a vedere mio padre che lo travasava. Era il mio mondo, lo avevo in qualche modo ereditato culturalmente senza rendermene conto e senza averlo consapevolmente scelto.
Cosa rappresenta per te il vino?
Il vino è il filo conduttore di un racconto, un modo per parlare di cultura, di esperienze, identità e scelte di vita. È la fotografia di un territorio e delle persone che ne fanno parte.
Parlaci della varietà della tua cantina
La nostra scelta, mia, di mia moglie, di mio fratello e di tutti quelli che negli anni hanno partecipato al nostro progetto, è stata quella di partire dal carignano del sulcis, vitigno storico ed a piede franco. Poi lo abbiamo affiancato alle altre doc, come il vermentino , il cannonau, ed il moscato, che è l’uva per il quale più forti sono i miei ricordi d’infanzia. A questi abbiamo poi affiancato negli ultimi tre anni i vini di sperimentazione, della linea Chiaroscuro bianco e rosso, dove partendo da una del territorio come carignano e nuragus, reinterpretiamo i vini con gli uvaggi internazionali.
Quali sono le sensazioni che ti vengono in mente pensando alla prima volta che hai visto il tuo vino imbottigliato?
Direi che è stato un misto di sorpresa ed orgoglio. Il piacere di poter cominciare un nuovo percorso e la preoccupazione di non avere una mappa già delineata , ma solo un “brogliaccio” di idee da verificare con i clienti. E poi tanta curiosità di capire, di studiare, di imparare un mestiere nuovo per me che sono laureato in scienze politiche e commercio internazionale. Insomma la sensazione era “torniamo alle radici”. La scelta del nome dell’olio ”kaos” era proprio li, nell’origine del tutto.
A quale vino dei tuoi sei più legato e perché?
La linea dei vini Chiaroscuro è sicuramente la più intima, perché è quella dove partiamo dal foglio bianco e facciamo sperimentazione pura. Sono processi lunghi ed affascinanti, che durano anni. Per il Chiaroscuro bianco, che abbiamo presentato quest’anno c’è voluto uno studio, nostro e dell’enologo Massimo Marongiu, che è durato cinque anni. La sfida era valorizzare il nuragus , vino della tradizione ma povero, e portarlo ad un nuovo step, guardando al prosecco ed agli spumanti metodo classico.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri?
L’idea è di riuscire a consolidare il nostro percorso di crescita e di internazionalizzarci sempre più, ma è un percorso lungo che rappresenta più una filosofia di vita che non un obiettivo commerciale.
Quali sono le maggiori soddisfazioni che hai avuto, e quali difficoltà hai dovuto superare?
Le soddisfazioni maggiori sono legate al vedere una azienda che prende forma e poter lasciare ai mie figli una opportunità per il loro viaggio sulla terra. Le difficoltà maggiori sono legate alle contingenze, al far quadrare i conti e nel contempo a dover stare in un mercato ultracompetitivo. Per questo è fondamentale sapere chi sei esattamente e dove vuoi andare.
Ci son stati dei momenti in cui hai pensato di non aver fatto la scelta giusta, e se sì, come hai superato quei momenti?
I dubbi ci sono stati sempre. Dopo il primo imbottigliamento in particolare; era forte la preoccupazione che il mercato potesse non accettarmi, ma con filosofia ho pensato ”male che vada me lo bevo con la famiglia e gli amici”. Poi col tempo pian piano le nubi svaniscono da sole e torna il sereno. In generale cerco di avere una mente positiva e credo fermamente che nel mercato c’è sempre tanto spazio per le eccellenze. Oggi vedo tanti clienti curiosi, interessati, desiderosi di capire ed imparare. La nostra sfida è cercare di comunicare i prodotti in modo chiaro e lasciar spazio alla curiosità.

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