Riforma del calcio regionale. Prima categoria: polemiche a non finire sui criteri dei gironi
Riforma dei campionati regionali: servono delle modifiche per ridare credibilità ed entusiasmo al movimento calcistico sardo. Da un paio di stagioni a questa parte in Sardegna è stata abolita la Terza categoria. Scelta fatta di comune accordo con le società isolane.
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Riforma dei campionati regionali: servono delle modifiche per ridare credibilità ed entusiasmo al movimento calcistico sardo. Da un paio di stagioni a questa parte in Sardegna è stata abolita la Terza categoria. Scelta fatta di comune accordo con le società isolane. Una scelta che ha portato tanti cambiamenti per quanto riguarda il livello di alcuni campionati, sopratutto quello di Seconda come è normale che fosse. Le conseguenze dirette sono state quelle di aumentare i gironi di Seconda categoria ( dodici gironi) e di conseguenza anche quelli di Prima che sono diventati cinque.
Si è giustificata questa scelta anche per ragioni geografiche e territoriali costituendo gironi che in qualche modo potessero agevolare le società per quanto riguarda le trasferte. Discorso che purtroppo puntualmente crea, anche con questa nuova soluzione, polemiche sopratutto per la questione ogliastrina che fa discutere ogni estate. Ma il punto non è questo: continuando verso l’alto troviamo che la Promozione (due gironi) e l’Eccellenza (un girone ) non sono state ritoccate. Questo ha portato ad una grande anomalia che non è mai stata presa in considerazione La Prima categoria ormai è l’unica che ha fatto grandi passi indietro per quanto riguarda l’aspetto puramente sportivo. È stata una novità importante che ha portato tanti benefici con esiti incerti fino alla fine del campionato,tante squadre di conseguenza erano impegnate fino alla fine a raggiungere gli obiettivi “promozione e salvezza”.
Ora la competizione va a scemare perché chiaramente tante squadre a metà del campionato senza più motivazioni rischiano se non di “falsare” quanto meno non scendono in campo con le giuste aspettative di una gara agonistica. Questa è la prima anomalia, sopratutto perché inspiegabilmente è rimasta l’unica categoria senza la coda spareggi finale rispetto agli altri tre campionati che invece giustamente hanno ancora playoff e playout per decretare promozioni e retrocessioni oltre alle vincenti dei gironi e alle ultime classificate. La seconda anomalia riguarda le graduatorie di ripescaggio proprie della Prima categoria che anche in questo caso sono differenti rispetto alle altre. Fermo restando che la composizione dei gironi per la stagione successiva è dettato dai campionati nazionali. In questo caso la serie D con il numero di retrocesse sarde nel girone di Eccellenza che decreta a ruota i vari ripescaggi dai campionati minori Promozione – Prima e Seconda.
Ma anche qui si usa un metodo a dir poco non “sportivo”: mentre le graduatorie di ripescaggio dalla Promozione all’Eccellenza e dalla Seconda alla Prima sono dettate dai play off e di conseguenza da risultati maturati sul campo, dal confronto tra squadre di gironi differenti e di conseguenza a livello sportivo il massimo che si possa chiedere, un confronto tra le migliori rappresentanti dei vari gironi. La graduatoria della Prima categoria è invece dettata da altri fattori, meramente burocratici che purtroppo non prendono minimamente in considerazione quelli che sono i meriti sportivi dimostrati nell’annata in questione.
Ci chiediamo che colpa può avere a livello puramente sportivo una dirigenza, un allenatore e il suo staff, i giocatori e i tifosi se la società è stata creata o rifondata magari due anni prima e ha perso l’anzianità federale? Che colpe ha se magari è stata ripescata 3 anni prima? Tutto questo per ragionare sul fatto se sia giusto che questi siano parametri che possono essere utilizzati.
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Quiz per cagliaritani doc: la storia di una boutique che fece epoca a Cagliari, sapete quale?

Cagliari, anni Settanta: una boutique che più di ogni altra riuscì a intercettare i sogni, lo stile e le ambizioni di un’intera generazione. Sapete qual era?
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Negli anni Settanta, in via Cocco Ortu, c’era una boutique che più di ogni altra riuscì a intercettare i sogni, lo stile e le ambizioni di un’intera generazione. Non era soltanto un negozio di abbigliamento maschile, ma un vero punto di riferimento per chi voleva vestire alla moda, senza lasciare Cagliari.
L’intuizione fu semplice e allo stesso tempo rivoluzionaria: viaggiare fino a Roma per scoprire le ultime tendenze e portarle in Sardegna, anticipando mode che altrove sarebbero arrivate molto più tardi. Dietro quell’idea c’era un imprenditore visionario, che diede alla boutique il proprio nome, trasformandola in un simbolo di eleganza e modernità. Avete capito di chi parliamo? Si tratta di Bruno Sechi e della sua boutique Brunse, che venne chiamata così per il nome del proprietario.
Tra quelle vetrine sono passate camicie dal collo largo, pantaloni scampanati, loden, cinturoni con maxi fibbie: capi che oggi raccontano un’epoca e che allora rappresentavano il desiderio di distinguersi. I giovani cagliaritani trovavano tutto ciò che serviva per sentirsi al passo coi tempi, mentre tra i clienti più affezionati figuravano anche i calciatori del Cagliari, icone di stile e successo.
Nel 1979 il negozio cambiò nome in Brillantina, segnando una nuova fase della sua storia, ma senza perdere la propria identità. Il successo fu tale che il format venne replicato anche a Quartu, dove Riccardo Sechi, fratello del fondatore aprì un altro punto vendita, mantenendo lo stesso stile e la stessa filosofia.
Oggi quelle immagini in bianco e nero, con i commessi e il proprietario ritratti davanti alla boutique, raccontano molto più di un’attività commerciale: raccontano un momento in cui la moda diventò linguaggio, appartenenza e sogno condiviso, lasciando un segno indelebile nella memoria della città.
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