Lo sapevate? Un tempo le mamme per punire i propri figli usavano sa zirogna.
Un tempo, nelle case sarde, le mamme avevano un metodo educativo che oggi farebbe accapponare la pelle ai pedagoghi moderni: sa zirogna.
Non stiamo parlando di un sofisticato strumento di disciplina psicologica, ma del nerbo del bue essiccato, un oggetto tanto semplice quanto efficace, che troneggiava appeso dietro la porta della cucina, sempre pronto all’uso. Sa zirogna era il perfetto alleato delle mamme di una volta, quelle che non conoscevano S.O.S. Tata ma erano campionesse indiscusse di S.O.S. Zirogna. Bastava una frase, pronunciata con tono solenne e minaccioso: “La chi pigu sa zirogna”. A quel punto, anche il figlio più ribelle sbiancava e tornava improvvisamente il ritratto dell’ubbidienza.
Ma non pensate che tutti i figli temessero sa zirogna allo stesso modo. Certi ragazzi, abituati alle famigerate “susse”, avevano ormai sviluppato una resistenza naturale. Per loro, la minaccia era solo il preludio a una punizione più concreta, che si traduceva nella temutissima “passara ‘e corpusu”. E qui entra in gioco l’efficacia fisica di sa zirogna: il nerbo del bue, se usato con decisione, garantiva un’esperienza educativa tanto breve quanto memorabile. Le mamme lo sapevano bene e non si facevano pregare, dispensando la loro pedagogia con generosità e precisione, accompagnata da un immancabile “surrixeddasa!”.
Ovviamente, sa zirogna non era solo uno strumento di punizione, ma anche un monito silenzioso, un oggetto carico di autorità che parlava senza bisogno di parole. Oggi, nelle case moderne, sa zirogna è sparita, sostituita da metodi più morbidi e meno traumatici. Eppure, per chi ha superato le cinquanta primavere, quel semplice nome evoca ricordi intensi e forse un po’ di pelle d’oca. Perché sa zirogna non era solo un oggetto, ma un simbolo di un tempo in cui l’educazione passava anche attraverso il timore reverenziale verso un nerbo di bue appeso alla parete.