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Articolo di Gianluigi Torchiani dal portale Cronache Sarde
Perché la Sardegna nuragica è unica nel contesto archeologico globale? Non soltanto per le caratteristiche architettoniche dei suoi monumenti, ma anche e soprattutto per la storia che hanno dietro. Lo ha raccontato Anna Depalmas, Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione La Sardegna verso l’Unesco e docente presso l’Università di Sassari, nel corso della Terza conferenza internazionale della Sardegna Verso l’Unesco con l’intervento “L’unicità mondiale del paesaggio archeologico della protostoria sarda”. Come spiega la stessa Depalmas a Cronache Sarde, lo scopo è stato quello di tenere desta l’attenzione sull’idea di iscrivere i monumenti nuragici nella Wolrd Heritage list dell’Unesco.
“Ho perciò cercato di fornire informazioni in un tono divulgativo, parlando delle ragioni alla base della loro unicità, che è poi uno dei punti principali criteri che l’Unesco prende in considerazione per le candidature – spiega Depalmas -. Per fare questo ho contestualizzato questi monumenti nella loro dimensione storica, perché poi è forse la cosa che conta di più, al di là della straordinarietà architettonica di questi monumenti. Quindi ho provato a fare un quadro diacronico di questi monumenti, di quali fossero le loro funzioni, senza soffermarmi soltanto sui soli aspetti architettonici. Tra l’altro, anche se può sembrare strano, non sempre l’opinione pubblica ha questo senso della storia, considerato anche che viene dato il nome di civiltà nuragica a un periodo lunghissimo, mentre in realtà ci sono differenze sostanziali e notevoli cambiamenti nel corso dei secoli. Sono convinta che anche cercare di fare comprendere queste differenze e questi mutamenti ci possa aiutare a far apprezzare di più questi monumenti”.
Ma perché dunque la civiltà nuragica può definirsi unica? “ A partire dalle sue manifestazioni più antiche, i nuraghi non hanno eguali, sono unici, sia nel tipo di struttura esterna che interna. Ovviamente i nostri confronti sono soprattutto con le isole vicine, come la Corsica e le Baleari. Ma anche se ci allontaniamo un po’ di più e arriviamo sino in Grecia, ci accorgiamo che le tombe micenee hanno una struttura completamente diversa, perché si appoggiano direttamente al terreno. Dunque l’unicità dei nuraghi è estremamente significativa, anche perché si tratta di un espediente tecnico avanzatissimo come concezione tecnologica”.
Ma anche altri monumenti tipici dell’epoca nuragica, come le tombe dei giganti, non hanno strutture similari nel Mediterraneo: il confronto classico con le navetas minorchine non sembra reggere, anche perché queste ultime appartengono a un’altra epoca, ovvero sono molto più recenti. Andando avanti nel tempo, in cui il nuraghe non è più il monumento centrale della medesima civiltà, si arriva al momento in cui sono stati realizzati i luoghi di culto. Anche in questo caso l’aggettivo unico è appropriato: la Sardegna dell’Età del Bronzo è infatti l’unica area in Europa in cui sono stati realizzati edifici esclusivamente adibiti per il culto. “Come noto, infatti, quelli nuragici sono templi caratterizzati da una grandiosità negli arredi e nelle decorazioni e nelle tecniche. Pensiamo, ad esempio, a Su Tempiesu di Orune: si tratta di un edificio in cui niente era lasciato a caso, dal colore della pietra agli arredi, ai sistemi idraulici molto complessi che regolavano il funzionamento delle fonti”.
Ma che tipi di informazioni ci restituiscono questi monumenti sulla civiltà nuragica e la sua società? “Innanzitutto c’è da sottolineare che molti di questi monumenti sono stati depredati in tempi più o meno antichi, distruggendo delle informazioni preziosissime, che ci avrebbero dato modo di ricostruire più nel dettaglio tutta una serie di aspetti. In ogni caso ci restituiscono tutta una serie di informazioni: la stessa disposizione spaziale dei nuraghi sul territorio ci permette di comprendere come si trattasse di una società a forte componente familiare. Le tombe erano comuni per circa cinque-sei nuraghi di uno stesso territorio, dunque erano delle sorte di tombe tribali, dove più famiglie nuragiche avevano la propria sepoltura comune”. Gli archeologi hanno ricostruito l’esistenza di forme di gerarchizzazione sociali, che però non erano estremamente nette, dal momento che non esistono testimonianze in questo senso né dalle tombe né da altri dettagli.
Ma quanto era popolata la Sardegna nuragica? “Purtroppo le stime sulla demografia nuragica sono molto poche, si tratta di studi complessi da eseguire perché sono estremamente legati alle necropoli, che però sono state utilizzate per centinaia di anni, dunque periodicamente gli ossari venivano svuotati. Dunque non è semplicissimo fare queste stime, anche perché gli stessi villaggi nuragici non sono sempre coevi alla costruzione del nuraghe stesso. In molti casi, invece erano successivi: in particolare nei secoli dei templi e dei santuari la vita sociale era organizzata nei villaggi. Il villaggio comunque veniva costruito nella stessa area del nuraghe, perché le scelta fatta secoli prima non era stata casuale, ma erano stati posizionati in modo strategico per lo sfruttamento delle risorse del territorio e della comunità”, evidenzia la docente.
Questa distinzione temporale apre la strada alla domanda classica sui nuraghi: che funzione avevano queste strutture? L’opinione di Depalmas è netta: “ A questo proposito l’archeologo può dire soltanto una cosa: tutti i nuraghi che sono stati scavati, nei livelli di base, cioè a quelli che corrispondono alla prima fase di utilizzo, sono luoghi di abitazione, ossia delle normali case, pur se dotate di una struttura fortilizia che doveva servire a proteggere le persone e le risorse. Sono infatti stati rinvenuti i resti di normalissime stoviglie e di focolari, utilizzati per la preparazione del cibo. I nuraghi, insomma, sono stati costruiti per essere abitati e i sardi dell’epoca ci hanno davvero abitato. Che poi nei secoli, ci sia stato un riutilizzo è innegabile: quando il nuraghe non è stato più centrale per la vita quotidiana e le persone si sono spostate nelle strutture adiacenti, è stato allora riutilizzato, in alcuni casi come deposito di granaglie, spesso come luogo di culto, tanto che abbiamo rinvenuto degli altari. Ma, in ogni caso, si tratta sempre di un uso secondario, che è avvenuto cioè in una seconda fase”.
Ma perché questa civiltà unica è finita, senza lasciare peraltro segni evidenti delle ragioni alla base di questa fine? “Forse è sbagliato il nostro modo di porci nei confronti delle fine delle civiltà, che vengono considerate quasi sempre legate ad avvenimenti o motivi traumatici (terremoti, guerre, ecc). La mia sensazione è quella di un tessuto sociale diventato progressivamente più debole e che ha continuato la sua storia ma poi da un certo momento in poi non ha più la forza di rinascere, di inventare un rinnovamento. Nelle aree più a stretto contatto con i piccoli insediamenti di fenici, probabilmente, queste popolazioni hanno assimilato abbastanza rapidamente la cultura punica.
Non abbiamo però una conoscenza così approfondita di queste fasi così avanzate (settimo-sesto secolo a.C.). Anche gli indicatori classici di questo periodo (manufatti, ceramiche, case) sono poco chiari: abbiamo un certo degrado della qualità delle ceramiche, ma non c’è un cambiamento così forte che ci consenta di avere una comprensione piena e soprattutto di capire quali sono gli insediamenti di queste fasi. Sembra che possa esserci stato un decremento degli insediamenti ma anche in questo caso non abbiamo dati certi. Probabilmente non abbiamo scavato ancora un insediamento di questa fase di passaggio, che ci potrebbe far cambiare la prospettiva e darci le informazioni necessarie. In altre parole non abbiamo purtroppo sinora avuto un ritrovamento eccezionale come Pompei o l’uomo di Similaun, che hanno permesso a storici e archeologi di fare salti di conoscenza enormi. E, sicuramente, al contrario di quello che si legge sul web, non avremmo certo alcun interesse come archeologi a nascondere scoperte di questa portata ”