Esattamente 200 anni fa, uno dei nuraghi più grandi e imponenti della Sardegna veniva completamente demolito. Si tratta del nuraghe Sa Domu Beccia di Uras, in provincia di Oristano. Secondo il celebre archeologo sardo Giovanni Lilliu, Sa Domu Beccia era la reggia di una piccola capitale, paragonabile a Nuraxi di Barumini e al nuraghe Losa di Abbasanta. Prima di lui, Angius e Spano ne avevano già esaltato l’architettura, accostandolo per maestosità a giganti come il Santu Antine di Torralba.

Scatto del fotografo e content creator Fabrizio Bibi Pinna
Le testimonianze storiche dell’Ottocento descrivono un monumento straordinario. Lo scrittore, poeta e politico Vittorio Angius rimase colpito dalla torre principale, dotata di più ambienti interni e di un piano di calpestio notevolmente più basso rispetto al resto della struttura.

Scatto del fotografo e content creator Fabrizio Bibi Pinna
Un unicum nell’Isola era rappresentato dalle tre scale interne – una nel corridoio d’ingresso e due all’interno di nicchie – che conducevano alle camere superiori. Di grande rilievo anche le dimensioni dell’antemurale e delle torri secondarie, che testimoniano la potenza e l’arte ingegneristica dei costruttori nuragici.

Scatto del fotografo e content creator Fabrizio Bibi Pinna
Purtroppo, tra il 1822 e il 1825, il nuraghe fu completamente distrutto. I blocchi ciclopici di basalto furono frantumati e utilizzati come selciato per la costruzione della strada Carlo Felice, un’opera denunciata come vero e proprio scempio dal Generale Alberto La Marmora. Si stima che dai massi del nuraghe siano stati ricavati circa 15 chilometri di strada.

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Oggi rimangono solo i ruderi, ma grazie agli scavi archeologici effettuati tra il 1988 e il 2014 è stato possibile ricostruire parte della sua antica imponenza: un pozzo profondo 11 metri e un esteso villaggio circostante restituiscono l’immagine di un complesso abitativo e difensivo articolato e sofisticato.

Scatto del fotografo e content creator Fabrizio Bibi Pinna
Il nuraghe Sa Domu Beccia, il cui nome in campidanese significa “casa vecchia”, rappresenta un unicum nell’Isola per la singolare articolazione di torri e cinte fortificate. I suoi resti ancora oggi continuano a stupire e a raccontare la vita e l’ingegno dei sardi del Bronzo medio e finale (XV-XI secolo a.C.). Un gigante depredato, ma che conserva tutto il fascino della sua storia.
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