Presidente nou pro su Rotary Club in Ogliastra.
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Negli ultimi tempi si è fatto sempre più acceso il dibattito sul rapporto difficile tra amministrazioni locali e organizzatori di festival ed eventi culturali. In molti casi, gli ideatori di progetti culturali hanno denunciato una mancanza di sostegno, che talvolta li ha spinti a spostare le proprie iniziative altrove, alla ricerca di contesti più accoglienti. In altri casi, gli stessi amministratori non si sono presentati agli eventi, non hanno preso parte alle iniziative e sono rimasti distanti dal tessuto culturale che avrebbero dovuto promuovere. Questa distanza istituzionale, oltre a segnalare disinteresse, contribuisce a far sentire i progetti isolati e poco valorizzati.
Per riflettere su questo fenomeno abbiamo chiesto un parere a Giuditta Sireus, manager culturale e direttrice artistica del Club di Jane Austen Sardegna. Le sue parole sono state nette e le riportiamo integralmente:
«Esprimo una preoccupazione sempre più profonda verso quelle comunità che, in modo sistematico o silenzioso, non sostengono i progetti culturali e le iniziative culturali che nascono e crescono nei propri territori, salvo poi vederli riconosciuti, apprezzati e applauditi altrove», ha spiegato Sireus. «Un paradosso ormai diffuso, che colpisce molte realtà: progetti che trovano ascolto e valore lontano da casa, ma restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento».
Secondo Sireus, la mancanza di sostegno non è mai neutra. Può assumere forme economiche, morali, istituzionali, ma anche semplicemente manifestarsi come assenza: un silenzio pesante che incide sulla vitalità dei territori e sulla possibilità stessa che la cultura continui a essere un motore di crescita. «La cultura non è un ornamento né un esercizio autoreferenziale — sottolinea —. È crescita collettiva, condivisione, apertura. È uno spazio comune che vive solo se viene attraversato, sostenuto, difeso».
Non sostenere ciò che nasce sul proprio territorio, aggiunge, significa rinunciare a una parte dell’identità collettiva. Ma rivendica anche la scelta della cosiddetta “barrosia”: restare, anche quando il contesto sembra ostile. «Rimanere non per rassegnazione, ma come dichiarazione di esistenza. Restare per continuare a seminare, per chi apprezza, per chi riconosce il valore di ciò che viene proposto. Restare per alimentare un disturbo positivo: accendere dibattito, stimolare confronto, creare possibilità di bellezza».
Un appello diretto, infine, agli amministratori pubblici: «Sostenere la cultura non è un gesto opzionale, né una concessione. È una responsabilità politica. Ogni assenza, ogni mancata partecipazione, è una scelta che produce conseguenze. Quando un progetto culturale viene lasciato solo, non perde solo chi lo porta avanti: perde l’intera comunità».
Le parole di Sireus tracciano un quadro chiaro e urgente: senza un sostegno consapevole e continuo, senza la presenza attiva di chi amministra e governa i territori, i progetti culturali rischiano di fiorire altrove, privando le comunità del proprio capitale creativo. Restare, seminare, sostenere: queste sono le parole chiave per trasformare la cultura in vero motore di crescita collettiva.