Missione tedesca a Ilbono. Visita lampo del sindaco di Bietigheim-Bissingen nel “Paese dell’olio”
canale WhatsApp

Il giorno in cui Gigi Riva regalò un sogno a un giovane cameriere di Grado.
Non era soltanto un campione in campo, Gigi Riva. La sua grandezza andava oltre i gol e le imprese con la maglia del Cagliari e della Nazionale. La sua era una generosità discreta, autentica, che si rivelava nei gesti più semplici. Uno di questi accadde a Grado, negli anni in cui Riva era ancora nel pieno della carriera, impegnato a recuperare da uno dei tanti infortuni che segnarono la sua storia sportiva.
Il fuoriclasse lombardo, ormai adottato dalla Sardegna, era giunto nella cittadina friulana per sottoporsi alle sabbiature, un trattamento riabilitativo che gli avrebbe permesso di tornare presto in campo. Fu lì, in un tranquillo albergo affacciato sul mare, che si consumò un piccolo episodio destinato a restare nel cuore di chi lo visse e di chi, anni dopo, lo raccontò.
A riportare la vicenda fu il giornalista Toni Capuozzo, che a sua volta l’aveva appresa dall’amico Toni Zanussi, artista e testimone diretto di quella storia. Zanussi, allora poco più che un ragazzo, era un giovane orfano cresciuto nei collegi e da poco aveva trovato lavoro come cameriere in un hotel di Grado. Ogni sera serviva ai tavoli un cliente d’eccezione, il celebre Gigi Riva, che trascorreva lì i giorni della riabilitazione. I due si scambiavano poche parole, come spesso accade quando il rispetto e la timidezza prevalgono sulla confidenza. Nella foto che li ritrae insieme si percepisce tutta la distanza tra il mito e il ragazzo: Riva, imponente e silenzioso, e quel giovane con la giacca troppo grande, intimidito davanti all’obiettivo, in un’epoca in cui le fotografie erano ancora un piccolo rito.
Un giorno, però, accadde qualcosa che Zanussi non avrebbe mai dimenticato. Riva lo chiamò e lo invitò a salire sulla sua automobile, un’auto da campione, lucente e potente. Uscirono per un breve giro, quasi senza parlare, in un silenzio pieno di significato. Per il ragazzo, quel gesto bastò a riempire di emozione un’intera estate. Quando arrivò il momento della partenza, Riva salutò tutti con la consueta riservatezza. Poco dopo, il direttore dell’albergo chiamò il giovane cameriere e gli consegnò una busta che l’attaccante aveva lasciato per lui. Dentro, c’era una somma superiore a quella che avrebbe guadagnato in un’intera stagione di lavoro. Nessuna spiegazione, nessun clamore: solo la naturalezza di un atto di bontà, come se la generosità fosse per lui un gesto spontaneo quanto segnare un gol.
Riva aveva scoperto Grado quasi per caso, su consiglio dei medici, dopo il grave incidente di Vienna che gli aveva causato la frattura del perone e il distacco dei legamenti. La località balneare divenne per lui un rifugio terapeutico e umano. Dopo dodici trattamenti di sabbiature, le sue condizioni migliorarono al punto che tornò anche l’anno successivo, unendo alle cure il piacere di una vacanza. Negli anni Sessanta, Grado divenne così una piccola capitale estiva del calcio italiano. Le serate si animavano nei locali come il Sans Souci o la Trattoria Alla Fortuna, dove Riva era spesso in compagnia di amici come Nico Mazzolini, Mario David o Mario Manera, compagno di squadra nel Cagliari e nel Genoa. Anche altri campioni, come Omar Sivori, erano soliti frequentare la zona, alloggiando all’Astoria e contribuendo a rendere indimenticabili quelle estati di sport e amicizia.
In mezzo a tutto questo, però, resta quel piccolo episodio nell’hotel di Grado, una parentesi che racconta meglio di mille parole chi fosse davvero Gigi Riva. Non solo un simbolo del calcio italiano, ma un uomo capace di gesti semplici e profondi, di quelli che lasciano un segno duraturo. Un campione che, anche lontano dal campo, sapeva ancora una volta regalare emozioni — e, in quel caso, il sogno indimenticabile di un giovane cameriere.