La storia di Mario Mura e della sua famiglia:, l’emigrato seuese che è riuscito a tornare a casa
Solo qualche giorno fa, alcuni centri studi di statistica hanno diramato dei dati preoccupanti per la Sardegna: più di 3000 persone nel 2018 hanno lasciato l’Isola, soprattutto giovani, in cerca di un lavoro. Abbandonare i luoghi nativi, nella speranza di un domani più sereno, con il cuore carico di sofferenza mentre lasciava i familiari e gli amici: è quello che ha provato, negli anni ’50, anche il seuese Mario Mura classe 1938.
Solo qualche giorno fa, alcuni centri studi di statistica hanno diramato dei dati preoccupanti per la Sardegna: più di 3000 persone nel 2018 hanno lasciato l’Isola, soprattutto giovani, in cerca di un lavoro.
Abbandonare i luoghi nativi, nella speranza di un domani più sereno, con il cuore carico di sofferenza mentre lasciava i familiari e gli amici: è quello che ha provato, negli anni ’50, anche il seuese Mario Mura classe 1938.
Una storia, la sua, comune a molti altri giovani della sua generazione, originari dei paesi dell’interno, ma con aspetti molto particolari.
«Avevo 17 anni, nel 1955, quando partii alla volta di Palermo, trovai lavoro in un negozio di generi alimentari in Piazza Caracciolo. L’impiego l’avevo trovato tramite una donna di Seui, Savina Levanti, che da tempo esercitava un’attività commerciale nel capoluogo siciliano» racconta Mario. Era abituato a lavorare fin da bambino nelle campagne di Seui – suo padre era un pastore – e a cavalcare a cavallo tra le fronde dei boschi freschi, per questo all’inizio, oltre a sentire la nostalgia della famiglia, soffrì parecchio il caldo torrido della Sicilia.
Ben presto però, causa l’obbligo del servizio militare, prese la via verso Orvieto, dove fece amicizia con un altro giovane anche lui richiamato alle armi: l’allora calciatore del Milan Giovanni Trapattoni.
«Io e lui siamo diventati grandi amici!» afferma Mario. Terminato la “naja”, per Mura ci fu la possibilità di poter lavorare alla Fiat, e così nel 1960 era a Torino, prima nello stabilimento di Rivalta, poi in seguito in quello di Mirafiori, dove ritrovò parecchi compaesani. Proprio in questa città, alla fine degli anni ’60, Mario ha costituito la sua famiglia, insieme a sua moglie Veneranda Lai, anche lei seuese: lì sono nati e cresciuti i suoi figli, Fausto e Daniela. Ma nel 1976 ancora una partenza, questa volta con tutta la famiglia: in Brasile a Belo Horizonte.
«Nello stabilimento sudamericano, la Fiat aveva bisogno di operai capaci per far funzionare bene i vari reparti nella nuova realtà, così serviva la mia competenza. Si produceva la 127, che chiamavano 147, nelle tre diverse versioni: Panorama, Fiorino e il modello berlina».
Nel 1982, il ritorno in Italia, ma la “saudade” della Sardegna era forte, così Mario Mura decise di licenziarsi dalla Fiat, e insieme alla moglie Veneranda e i suoi figli ritornò nell’Isola. A Seui non c’erano le condizioni lavorative per far ritorno, così decise di aprire un Bar, prima in via Mameli, per poi acquistarlo definitivamente in via Giudice Chiano.
Ancora oggi è presente il Bar Mario, che da anni, una volta andato in pensione Mario, portano avanti i figli Fausto e Daniela.
Una famiglia che, grazie alla propria esperienza, sa cosa significhi il sacrificio e le difficoltà: vivere lontano dai luoghi d’origine, imparare una lingua nuova, adattarsi ai modi di vivere di altre culture non è semplice. Senza una moglie capace di affiancare un marito, e dei figli che portano avanti, tra le mille difficoltà attuali, un’attività creata dal padre, a cosa sarebbero servite tutte le sfide affrontate da Mario Mura? Oggi la soddisfazione più grande è questa, di questo emigrato ogliastrino, riuscito a ritornare in Sardegna, nonostante i malanni, dallo spirito ancora forte, a cui brillano ancora gli occhi quando sente parlare del suo paese: Seui.
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