Studio dell’università di Vienna conferma: il frequente ricorso al parto cesareo lascia tracce sull’evoluzione

Il sempre più frequente ricorso al parto cesareo starebbe incoraggiando la nascita di bambini più grandi e forti, che altrimenti non passerebbero dal canale materno. Una tendenza che, secondo alcuni biologi dell’Università di Vienna, starebbe lasciando una traccia sull’evoluzione della nostra specie Lo studio
Il sempre più frequente ricorso al parto cesareo starebbe incoraggiando la nascita di bambini più grandi e forti, che altrimenti non passerebbero dal canale materno. Una tendenza che, secondo alcuni biologi dell’Università di Vienna, starebbe lasciando una traccia sull’evoluzione della nostra specie
Lo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha dimostrato che i casi di neonati troppo grossi per passare attraverso il canale del parto materno sono passati da 30 su 1000 negli anni ’60, a 36 su 1000 ai giorni nostri: un incremento del 10-20% nell’arco di pochi decenni.
Un tempo, spiegano i ricercatori, la nascita di bambini più grossi della media avrebbe causato complicazioni anche gravi per la madre e per il nascituro. Per questo, i geni responsabili delle grosse dimensioni alla nascita non si sarebbero pertanto trasmessi alle generazioni successive.
Oggi, fortunatamente, non è più così: la disponibilità di procedure chirurgiche permette di far venire alla luce neonati che non potrebbero essere partoriti in modo naturale.
Dal punto di vista evolutivo, esiste però una contraddizione: mentre i neonati sono spesso più grandi e forti, non si assiste a una evoluzione nelle dimensioni delle pelvi femminili.
Eppure non si osserva una forza selettiva in direzione di neonati più piccoli. Secondo gli scienziati, una delle ragioni potrebbe proprio essere il ruolo del cesareo, che consente la nascita di bambini di dimensioni maggiori. «Il nostro intento – chiarisce Mitteroecker – non è criticare la procedura chirurgica, ma evidenziarne il ruolo sull’evoluzione».

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Fulmine, il cagnetto che andava al cimitero a trovare il suo amato padrone, è morto: “Aveva una missione”, il racconto della figlia

“Fulmine ora riposa nel vigneto di mio padre”: il toccante ricordo di Sara Sechi per il cane diventato simbolo di amore e fedeltà.
Riposa tra le vigne che un tempo appartenevano al suo padrone, nello stesso angolo di Sardegna che ha custodito il loro legame più profondo. Fulmine, il cane diventato noto per le sue commoventi visite alla tomba del suo amato padrone, Leonardo Sechi, nel cimitero di Badesi, è morto lo scorso marzo. A raccontarlo, con emozione e gratitudine, è Sara Sechi, figlia di Leonardo.
«Sì, Fulmine non c’è più», dice Sara, trattenendo a stento la commozione. «Ora riposa nel vigneto che è stato a lungo di mio padre. È il posto giusto per lui, in mezzo alla natura che conosceva, nel paradiso degli animali».
La storia di Fulmine aveva fatto il giro del mondo nel 2021, pochi giorni dopo la morte del suo padrone. Il cane, incapace di accettare l’assenza, si recava ogni giorno al cimitero, restando accanto alla tomba con uno sguardo triste ma fedele. Una scena che aveva colpito il cuore di molti.
«Quando si diffuse la notizia delle sue visite, mi chiamarono da ogni parte del mondo», racconta Sara. «Giornalisti dal Giappone, dagli Stati Uniti… tutti volevano conoscere Fulmine. Il legame con mio padre era qualcosa di incredibile, quasi inspiegabile. Era come se sapesse tutto. Gli mancava solo la parola».
Ma per Sara, Fulmine non è stato solo un compagno fedele. «Per me è stato una salvezza. Mi ha aiutata in uno dei momenti più duri della mia vita: la perdita improvvisa di mio padre, unita alla mia malattia. Credo davvero che avesse una missione, come se fosse stato mandato da papà per starmi accanto. E il giorno dopo la mia guarigione… se n’è andato anche lui. Come se sentisse che il suo compito era terminato».
Il ricordo di Fulmine resta vivo nei cuori di chi ha seguito la sua storia e, soprattutto, in quello di Sara: «Ci ha insegnato quanto profonda possa essere la sensibilità degli animali. Fulmine non era solo un cane. Era famiglia, amore puro e presenza costante».

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