Chi è “Er Boja de Roma”, l’inquietante spettro di “Mastro Titta” che appare all’alba
Al solo sentir pronunciare il suo nome, Roma ancora trema. “Mastro Titta”, pseudonimo di Giovanni Battista Bugatti, dal 1796 al 1864, ha eseguito nella sua carriera di boia dello Stato Pontificio bel 514 condanne a morte. 68 anni dedicati ad uno dei mestieri più oscuri, ma non tutti sanno che, quando non era impiegato nelle esecuzioni, si procurava da vivere come venditore di ombrelli. Scopriamo insieme questo personaggio della Roma di una volta.
Chi è “Er Boja de Roma”, l’inquietante spettro di “Mastro Titta” che appare all’alba.
Al solo sentir pronunciare il suo nome, Roma ancora trema. “Mastro Titta”, pseudonimo di Giovanni Battista Bugatti, dal 1796 al 1864, ha eseguito nella sua carriera di boia dello Stato Pontificio bel 514 condanne a morte. 68 anni dedicati ad uno dei mestieri più oscuri, ma non tutti sanno che, quando non era impiegato nelle esecuzioni, si procurava da vivere come venditore di ombrelli. Scopriamo insieme questo personaggio della Roma di una volta.
La leggenda popolare racconta che è possibile incontrare il suo fantasma, avvolto dal mantello scarlatto, passeggiare verso l’alba nei luoghi dove giustiziava i condannati: piazza Bocca della Verità, Piazza del Popolo, Campo de’ Fiori e Ponte Sant’Angelo.
Qualcun altro afferma che per incrociare il suo spettro ci si può recare anche nella riva destra del Tevere, presso il rione Borgo, in vicolo del Campanile 2, indirizzo della casa dove viveva e che raramente lasciava. Per ovvi motivi era odiato da molti a Roma, al punto che gli fu vietato di recarsi in centro se non in occasione delle condanne a morte. È da qui che nasce il proverbio “boia nun passa ponte”.
“Signorina, gradisce una presa di tabacco o un sorso di vino?” è così che lo si immagina chiedere, nelle narrazioni delle sue mitologiche apparizioni, inquietante, stravagante e dimesso, impressionante nel suo essere magnanimo ad esaudire l’ultimo desiderio dei suoi condannati prima di trasformarsi in un macellaio.
L’unico posto, però, dove lo si può incontrare davvero è presso il Museo Criminologico di Roma dove è conservato ancora il suo mantello rosso.
Giuseppe Gioacchino Belli dedicò al boia diversi sonetti, numerosi sono i film a lui ispirati ed è anche uno dei personaggi chiave ne “Il Rugantino” di Garinei e Giovannini del 1962 (interpretato, tra gli altri, da Aldo Fabrizi).
Sia il poeta George Byron che lo scrittore Charles Dickens assistettero ai suoi supplizi, decapitazioni, squartamenti pubblici ed entrambi ne rilasciarono scioccate testimonianze nei loro scritti. Le sentenze di morte avvenivano dinanzi al popolo che si apprestava ad assistere all’orribile spettacolo considerato esemplare per i propri figli al punto che al momento della pena, i bambini ricevevano uno schiaffo di ammonimento. Situazioni raccapriccianti in contrasto con le idee illuministe che si stavano sviluppando in Europa nel XVIII secolo. Prima di ogni lavoro di sangue, Mastro Titta si confessava e riceveva la comunione: altra contraddizione paradossale, stavolta con il messaggio religioso, su cui dichiarava di fondarsi lo Stato Pontificio che all’epoca decretava le condanne. Incoerenze da retaggi medioevali già ampiamente documentate durante la Santa Inquisizione. Nello Stato della Chiesa la pena di morte fu praticata sino alla sua caduta, nel 1870, per poi tornare legale con i Patti Lateranenzi dal 1929 al 1969, in caso di tentato omicidio del Papa. Solo il 12 febbraio 2001 venne eliminata formalmente dalla Legge fondamentale, su proposta di Papa Giovanni Paolo II.
In Italia la condanna capitale per i reati commessi in tempo di pace è stata cancellata con l’avvento della Costituzione nel 1948. Ma solo con la legge costituzionale n. 2 del 2007 è stata abolita anche dal codice militare di guerra.
Attualmente il 98% delle condanne mortali nel mondo avviene in paesi autoritari e illiberali e secondo l’Associazione “Nessuno Tocchi Caino”, che si batte da anni contro le esecuzioni, la chiave per la soluzione del problema è l’affermazione mondiale dei diritti umani. Suo principale obiettivo è l’adesione alla moratoria universale ossia la sospensione, a tempo indeterminato, della messa in pratica delle sentenze capitali. Per ottenerla continua a mobilitare parlamenti, governi e opinioni pubbliche in tutto il mondo e nel tempo è stata accolta da un numero sempre più alto di Stati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le Comunità a Roma. Iniziamo da quella cinese
Comincia il nostro viaggio tra le varie comunità di immigrati a Roma e inauguriamo con la più popolosa della capitale. La comunità cinese a Roma è una delle più antiche d'Italia, una presenza che si è affermata con il passare del tempo, trasformandosi da essere un gruppo all’inizio costituito più che altro da lavoratori stagionali a divenire una comunità solida e stratificata.
Le Comunità a Roma. Iniziamo da quella cinese.
Comincia il nostro viaggio tra le varie comunità di immigrati a Roma e inauguriamo con la più popolosa della capitale.
La comunità cinese a Roma è una delle più antiche d’Italia, una presenza che si è affermata con il passare del tempo, trasformandosi da essere un gruppo all’inizio costituito più che altro da lavoratori stagionali a divenire una comunità solida e stratificata.
Storicamente i cinesi hanno iniziato ad arrivare in Italia negli anni ’20 e ’30 del XX secolo, con un importante picco dopo la prima guerra mondiale che iniziò principalmente a Milano (anche se il primo migrante cinese risulta essere stato registrato a Torino nel 1893). In questo periodo giunse un gruppo di cinesi del sud dello Zhejiang dalla Francia che erano stati impiegati nelle fabbriche durante il conflitto. All’epoca la Cina non poté contribuire finanziariamente alla guerra, ma inoltrò ai suoi alleati (Francia e Gran Bretagna) migliaia di operai cinesi.
Secondo la tesi di Ilaria Santini dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, determinante fu la guerra civile cinese tra comunisti e nazionalisti nel periodo tra il 1945 e il 1949 che vide molti cinesi migrare verso l’Italia per motivi politici.
La storia è complessa e variegata e non possiamo in un solo articolo racchiudere in modo esaustivo le varie tappe storiche che portarono alla costituzione della comunità attuale, non possiamo però non segnalare che diversi cinesi che si trovarono in Italia durante il secondo conflitto mondiale furono portati nei campi di concentramento quando l’Italia fascista si alleò al Giappone.
Per il resto ci limitiamo a indicare che tra i più importanti flussi migratori vi sono quelli degli anni ’80 e del 2000 e attualmente la comunità cinese è tra le più numerose della città di Roma, contribuendo in maniera significativa alla sua diversità culturale. Un’alta concentrazione di cinesi la troviamo ai quartieri Esquilino, Prenestino e Casilino dove sono molto attivi nel settore commerciale, gestendo un gran numero di competitivi negozi, supermercati e ristoranti di cucina tipica e variegata. Una delle principali attività economiche della comunità cinese a Roma è il commercio all’ingrosso e al dettaglio.
L’Esquilino è famoso per i suoi negozi di abbigliamento, accessori, e prodotti per la casa gestiti da imprenditori cinesi. Come descritto dal dossier di Roma multietnica “la lupa ed il dragone” di Ilaria de Bonis, se Piazza Vittorio è il quartiere multietnico più conosciuto, a via dell’Omo esiste la “chinatown” delle periferie, a ridosso del raccordo anulare.
Sono attivissimi nel settore tessile e manifatturiero, offrono prezzi estremamente convenienti in ambito estetico e nel mercato degli acconciatori.
“Battono la concorrenza offrendo un servizio rapido e meno costoso. Una messa in piega che pagheresti da un parrucchiere italiano 20 euro sono capaci di offrirla anche a 9-10 euro. Come riescono a farlo? Forse pagano meno i dipendenti ma sono anche molto veloci. In un negozio italiano per farmi fare un colore ai capelli mi è capitato che ci impiegassero almeno due-tre ore, qui dai cinesi in circa un’ora sei fuori” afferma la signora Rosa, appena uscita da un parrucchiere cinese della zona San Paolo.
Ma anche i ristoranti cinesi sono numerosi e molto popolari sia tra i membri della comunità e non e la cucina, gustosissima, è ormai un must tra giovani e meno giovani e trova spesso commistioni ed incontri con quella giapponese, coreana e malese.
“Tra gli anni ’90 e inizio del 2000 per mangiare sushi dovevi recarti ad un ristorante giapponese e ricordo che costava moltissimo. Ora puoi trovare il sashimi e preparazioni giapponesi anche nei ristoranti cinesi che si sono rivelati vincenti con la formula ‘all you can eat’, mangia quello che vuoi ad un prezzo fisso” ci dice Paolo.
La comunità cinese ha istituito scuole e associazioni culturali per preservare la propria lingua e le tradizioni e le iniziative come festival culturali costruiscono importanti possibilità, divenendo un esempio di come l’immigrazione possa arricchire il tessuto sociale di una città.
Un altro settore nel quale i cinesi sono un punto di riferimento a Roma oltre a quello industriale, commerciale ed imprenditoriale è quello della medicina. Anche l’ospedale Agostino Gemelli la offre tra le varie opzioni terapeutiche ed in Italia può essere applicata solo da medici specializzati.
Abbiamo chiesto a Shaoran, che vive e lavora nei pressi della stazione Termini, se ci sono feste a cui si può partecipare con la comunità. Parla perfetto italiano, è uno dei figli di seconda e terza generazione, laureati ed intraprendenti.
“Una delle iniziative più importanti e significative è la Festa del Capodanno Cinese, noto Festa di Primavera o Chun Jie. Segue l’anno lunare, quindi ha una diversa data che ogni anni cade tra la fine di gennaio e la metà febbraio. Quest’anno il giorno di Capodanno Cinese è stato il 10 Febbraio. Ogni inizio calendario è associato a un animale dello zodiaco cinese ed il 2024 è indicato come l’anno del drago, che terminerà il 28 gennaio 2025”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA