Mercato del lavoro, in Sardegna cala la disoccupazione
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A cura di Massimiliano Perlato
«Il momento più bello della carriera? Ogni volta che mi siedo davanti a una pagina bianca e trasformo un’idea in racconto, concentrandomi su un volto o una storia.»
Giorgio Porrà – cagliaritano, classe 1960 – ama ricordare le sue origini: Stampace basso. A guidarlo, da sempre, un principio beckettiano intriso di ostinazione e poetica: «Non posso continuare, bisogna continuare, continuerò». Un mantra che calza a pennello per chi, come lui, ha fatto del calcio e della narrazione sportiva una vocazione.
Oggi Porrà è caporedattore e volto di Sky Sport, convinto più che mai che il calcio resti il territorio naturale dei prodigi. Da questa convinzione sono nati programmi diventati cult come Profili, Lo Sciagurato Egidio e Italia-Germania 4-3. E da queste esperienze ha preso forma anche il suo libro Adriano Sofri, attaccante estremo, che illumina un mondo sommerso – quello delle carceri – popolato di talenti mai sbocciati.
La sua inclinazione per il racconto affonda le radici negli esordi sardi: le prime cronache nelle emittenti locali, una palestra autentica che gli ha permesso di crescere, imparare e diventare uno dei talenti più brillanti del giornalismo sportivo nazionale.
«Sono cresciuto alla fine degli anni Ottanta nel gruppo L’Unione Sarda–Videolina – ricorda Porrà –. Ho fatto la gavetta, senza la quale non si va da nessuna parte, come ripeto sempre ai giovani. Ho potuto fare di tutto: cronaca nera, politica, costume, prima di dedicarmi allo sport.»
Da quel 1988, anno dell’esame professionale, Porrà ne ha percorse di tappe. Dopo Videolina approda a Telepiù, poi a Sky, diventandone uno dei volti più riconoscibili.
«Mi affidarono un programma sul Cagliari che, con Claudio Ranieri, dalla C salì rapidamente in Serie A. Per questo sono molto legato al tecnico romano. Quando lui passò al Napoli, io mi trasferii a Milano, proprio mentre la televisione satellitare muoveva i primi passi grazie all’intuizione di Silvio Berlusconi. All’inizio sembrava una scommessa folle: chiedere agli italiani, in un periodo economicamente difficile, di pagare un abbonamento con tanto di parabola. E invece, anni dopo, i cinque milioni di abbonati dicono che quella intuizione fu un successo.»
Porrà porta in televisione una cifra inconfondibile: intreccia il calcio con il cinema, la musica, la letteratura. Non un semplice analista di football, ma un narratore colto e originale.
«L’avvento di internet e dei social ha cambiato tutto. Io vengo da un giornalismo pionieristico, fatto in strada. A Telepiù e poi a Sky ho ritrovato la via della narrazione, che si era un po’ persa. Lo storytelling non è una moda: esiste dai tempi di Omero. Da qui nascono programmi come Lo Sciagurato Egidio e Italia-Germania 4-3. Sono in controtendenza rispetto al chiacchiericcio dei talk show e al moviolismo ossessivo. Partono dalla certezza che il calcio, nella sua forma più alta, sia una vera arte.»
Nei suoi lavori Porrà scava oltre la cronaca, porta alla luce storie dimenticate, restituisce profondità a personaggi e vicende che rischiavano di perdersi. Una voce preziosa nel panorama sportivo.
Nel 2010 rese pubblica la sua battaglia contro un sarcoma al femore. Nonostante la malattia e la chemioterapia, non si fermò mai. Per il suo contributo alla sensibilizzazione sulle malattie gravi ricevette il premio giornalistico “Giovanni Maria Pace”, indetto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica.
Nel 2012 arrivò anche il premio USSI Sardegna per il Giornalismo.
«Sono un vecchio ragazzo di provincia fortunato, che ha fatto ciò che amava. Ho avuto la possibilità di sperimentare una forma nuova di racconto sportivo. Devo molto alla mia buona stella, che mi ha custodito la vita, e a una punta di talento che riconosco in me. E, naturalmente, agli editori e ai direttori che hanno creduto nel mio lavoro. Se non avessi fatto il giornalista? Parafraso Gigi Riva: avrei fatto il contrabbandiere.»

Giorgio Porrà
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