Una folla commossa si è riunita ieri mattina alle 11 nella cattedrale di Sant’Andrea per porgere l’ultimo saluto al sacerdote che ha fatto la storia della parrocchia del centro tortoliese, don Mario Mereu, scomparso martedì sera a causa di un malore. La messa ieri mattina è stata celebrata dinnanzi a centinaia di fedeli dal vescovo d’Ogliastra Antonello Mura. Presenti, oltre ai cittadini commossi, anche Don Giorgio Cabras, i sindaci di Tortolì, Girasole e Lotzorai, i parroci di altre zone, i diaconi e i rappresentanti della associazioni paesane. Sul feretro di Don Mario sono stati posati il Vangelo e la Stola e i presenti hanno ricordato la sua lunga vita e il suo approccio sempre energico ed onesto a quello che è stato il difficile mestiere di “pastore di anime”. Dopo la messa, il corteo si è spostato a Lotzorai, per il rito della sepoltura.

In Sardegna hanno nomi diversi: cumbessias per molti, muristenes nell’Oristanese. Piccoli villaggi di pietra, oggi muti e abbandonati, che per secoli si sono accesi di vita solo in occasione delle novene. Luoghi sospesi nel tempo, dove spiritualità e festa popolare si intrecciavano in un rito collettivo unico.

Attorno a una chiesetta campestre – spesso un piccolo gioiello medievale – le casette venivano animate da pellegrini giunti a piedi o a cavallo. All’alba e al tramonto risuonavano i gosos, antichi canti di lode, mentre i fuochi ardevano per gli arrosti e le sere si riempivano di poesie improvvisate, balli e canti tradizionali.

Quella di dormire nei santuari, forse, è un’abitudine antichissima: già nella civiltà nuragica si praticava l’incubatio, il rituale del riposo presso i luoghi sacri per cercare guarigione e contatto con il divino.

Oggi, molti di quei villaggi restano in silenzio per gran parte dell’anno. Ma quando le feste religiose riaprono i portoni delle chiese e le casette tornano ad accogliere i fedeli, l’antico spirito riaffiora. Come se, ciclicamente, la Sardegna ricordasse a sé stessa che la sacralità è anche comunità, memoria e condivisione.