La storia di Marco Bittuleri, imprenditore arzanese: “Costruire è dare forma a un modo di stare al mondo”

Oggi vi raccontiamo la storia di Marco Bittuleri, imprenditore di Arzana, che ha trasformato il costruire in un atto culturale che unisce innovazione, sostenibilità e identità sarda. Dall’Ogliastra al Nord Italia, la sua storia dimostra che anche dai luoghi più periferici possono nascere visioni capaci di cambiare il modo di abitare.
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Da Arzana, in Ogliastra, Marco Bittuleri ha costruito molto più di semplici abitazioni: ha dato forma a una visione. Le sue case non sono solo edifici, ma racconti di vita, luoghi che traducono in materia il modo in cui le persone scelgono di abitare il mondo. «L’ho capito quando ho iniziato a vedere le case come elementi che soddisfano i bisogni delle persone», racconta. «Costruire non è solo un fatto tecnico: è dare forma a un modo di stare nel mondo». A guidarlo è da sempre l’eredità del Bauhaus e il pensiero di Walter Gropius, che considera un faro: «Standardizzare senza perdere identità, standardizzare per democratizzare l’architettura». Nelle sue parole si percepisce la ricerca di un equilibrio tra funzione, estetica e sintonia con il territorio. «Amo le città con le case tutte simili, perché il divario sociale si assottiglia e i rapporti personali ne giovano. Tutti partono dallo stesso livello: che meraviglia».
L’Ogliastra, una delle Blue Zone del mondo, è la sua fonte più autentica di ispirazione. «Qui il tempo scorre in modo diverso, più lento e consapevole», dice. «Le persone vivono in relazione costante con la natura, la luce e il vento». Bittuleri osserva come le antiche abitazioni in pietra, legno e terra — materiali traspiranti e privi di sostanze nocive — custodiscano un sapere che oggi la scienza conferma. «Da piccolo costruivo rifugi di pietra e frasche ad Arzana, sempre con vista mare: forse tutto è cominciato lì».

Marco Bittuleri
Essere lontano dai grandi centri del design non è mai stato per lui un limite, ma una forza. «All’inizio mi sentivo isolato, poi ho capito che quella distanza era la mia ricchezza». Oggi le sue sedi in Alto Adige e a Milano rappresentano un ponte tra mondi diversi, ma il suo centro resta in Sardegna. «Amare la Sardegna è come amare una bella donna che non ricambia», scherza, «ma è proprio questa difficoltà che ti spinge a fare di più».
Nel 2017, un’intuizione lo porta a trasformare un’idea in un progetto innovativo. Durante l’esperienza alla Rumundu Social Innovation School, incontra un’azienda sarda che sviluppava sensori per auto intelligenti. «Pensai: se può parlare un’auto, può farlo anche una casa». Nasce così Bluehouse, una casa che vive e comunica attraverso la tecnologia. Presentata alla fiera Ecomondo, conquista il primo premio assoluto tra i giganti nazionali del settore. «Era inaspettato. Io, in mezzo alle multinazionali». Oggi Bluehouse si prepara a una nuova evoluzione, prevista per marzo 2026.
La sostenibilità, per Bittuleri, non è un’etichetta ma un sentimento. «Quando vedo che il paesaggio resta intatto già mi sento in pace», dice. «Non c’è nulla di più sostenibile di una casa che si inserisce in silenzio, che non impone la sua presenza ma la condivide». Crede nella standardizzazione come linguaggio comune, non come omologazione. «In Sardegna è il paesaggio a dettare le regole, noi dobbiamo solo saperle ascoltare».
Il momento più gratificante è quando chi abita una sua casa gli dice che “sta meglio”. «La termoregolazione naturale, la luce, il silenzio, i materiali: tutto contribuisce al benessere. Sembra un dettaglio, ma cambia la vita». Nei suoi progetti ritornano sempre i materiali della terra sarda: la pietra, solida e antica, il legno, leggero e vivo. «E poi i toni caldi della terra, il blu del mare e la luce dell’isola, quella che trasforma persino il cemento in qualcosa di vivo».
Costruire in modo duraturo per lui è anche un atto di responsabilità sociale. «Le case durano più di noi, ma non sempre rispecchiano chi verrà dopo», afferma. «Dobbiamo pensare a un’edilizia più leggera, meno invasiva». Ricorda con orgoglio il recupero di un’ex officina a Roma, mantenuta intatta all’esterno ma trasformata dentro in uno spazio zen, illuminato solo dal tetto. «Un progetto che può segnare un’epoca nel recupero edilizio».
Lavora spesso fuori dall’isola, ma la Sardegna resta la sua bussola. «Mi sento cittadino del mondo, ma porto la mia terra ovunque. La Sardegna ti insegna la lentezza, la cautela, il dubbio. Ti prepara al mondo frenetico oltremare».
La sua sfida più grande è stata credere che si potesse creare impresa di qualità restando qui. «In Sardegna puoi lavorare bene se vuoi appagare un bisogno, ma fare business è più difficile: pochi abitanti, isolamento, materiali che arrivano e partono a fatica. Eppure oggi, con Opera e Bluehouse anche in Alto Adige e a Milano, so che è possibile unire culture e territori diversi senza perdere l’identità».
Il suo messaggio è semplice ma potente: «Non abbiate paura di restare dove siete, ma tenete il collegamento al di là della costa. Vivere in Sardegna e lavorare con il mondo è la chiave della buona vita».
E guardando il suo percorso, viene spontaneo pensare che anche l’Ogliastra può vantare menti e imprenditori visionari, capaci di trasformare la propria terra in un laboratorio d’innovazione e bellezza.

Marco Bittuleri

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