Accusato ingiustamente, dimostrò la sua innocenza: Marcello Carracoi va in pensione: «Testa alta e 40 anni di lavoro nella polizia penitenziaria»

Carracoi ebbe la responsabilità di pentiti mafiosi e altri detenuti particolari, sedò rivolte di migliaia di persone, si distinse per onore e umanità.
“Quella parola, “comandante”, la meritava tutta, per intero. La sua arma non era un manganello, una pistola… la sua arma era l’umanità che portava dentro. La sua arma era l’attenta osservazione di chi espia le colpe, giuste o ingiuste. Non giudicava i reati, quasi espiava insieme ai condannati dando manforte all’inizio di una nuova giornata da affrontare” e ancora “La sua arma era l’attenta valutazione e l’infinita umanità: quando i detenuti gli stavano accanto si sentivano importanti”. Ma non solo: “Nulla sfuggiva al comandante, non volava una mosca quando era contrariato: l’istituzione c’era, era presente, ma in maniera maledettamente umana, efficace, giusta. Poteva fermare una rivolta o un diverbio con uno sguardo, temuto dai codardi e amato dagli altri uomini.”
Queste sono le parole che un detenuto, D. B., rivolge al Sostituto Commissario Coordinatore della Polizia Penitenziaria Marcello Carracoi in occasione della sua quiescenza che si avvicina (il 1 luglio Carracoi appenderà la giubba al chiodo): dopo quasi mezzo secolo di testimonianze dal mondo del carcere, il 60enne bariese va in pensione. «A testa alta» dichiara, con la serenità di chi ha dedicato l’intera sua vita a questo lavoro, faticoso, certo, ma di passione. E sì che Carracoi, che vanta una carriera encomiabile e che in questi ultimi decenni ha ricevuto riconoscimenti d’ogni tipo, ha anche dovuto vedersela qualche anno fa con un atto ignobile che ha cercato – senza riuscirci – di sporcargli la carriera.
Con un’accusa falsa fatta da un successore, nel 2009 si prende una condanna – totalmente ingiusta, così come verrà dimostrato – di peculato, trascorrendo anni a dimostrare la propria innocenza. E, contrariamente a quel che spesso accade, questa volta il destino è dalla sua: accuse scomparse, innocenza dimostrata, non senza tribolazioni.
Lascia il lavoro dei suoi sogni, Carracoi, senza rimpianti e sapendo di aver sempre fatto il possibile per questo lavoro impegnativo, a tratti pericoloso.
È il 1982 quando varca le porte del carcere di massima sicurezza dell’Asinara, a Fornelli. «Ricordo la prima esperienza con i detenuti sottoposti alla massima sicurezza, reduci dal tentativo di evasione di massa del 1979. Si parla di individui dell’Anonima Sarda, delle Brigate Rosse, del Terrorismo Nero. Ricordo anche i turni da sentinella fatti dalla casetta della finanza sopra il promontorio della rete idrica di Fornelli e di Santa Maria: mi accorsi della vittoria dell’Italia ai mondiali perché avevo visto Sassari e Porto Torres illuminati a festa!»
E ancora, il rinforzo prestato alla Casa Circondariale di Napoli Poggioreale dove scoppia una rivolta di tremila detenuti. Mesi e mesi di paura, tra colleghi morti e pericoli uno dietro l’altro.
Nell’83, il trasferimento a Vercelli dove il Comandante – che ama il suo carattere intraprendente e rivoluzionario – gli affida la responsabilità del primo pentito di mafia, carcerato in una sezione speciale.
E ancora e ancora: sempre responsabilità legate a detenuti “difficili”, pericolosi. Anni e anni di bravura nel sedare rivolte, nel controllare che tutto fosse in ordine, fino al concorso e al corso di sottufficiale che gli dà un incarico importante, sempre a Vercelli: Carracoi ha la responsabilità di pentiti, politici di mafia e anche del responsabile della strage dell’Achille Lauro. Poi, il maxi processo della Sacra Corona Unita, nelle carceri di Lecco-Brindisi e la chiamata urgente per prestare servizio in occasione dell’apertura della Massima Sicurezza, diramazione Fornelli, lasciata incompiuta sin dall’82.
E si arriva poi alla soglia del 2000 e al ritorno in Sardegna, nella casa di reclusione Is Arenas, dove qualche anno dopo gli venne fatto quel terribile sgarro. Ma tutto è bene quel che finisce bene e l’onestà – anche se non sempre – viene fuori: Carracoi ripulisce la sua carriera da quel brutto intoppo che gli costa la perdita di serenità ma non la perdita dell’amore per il suo lavoro.
Dal 2015 ad oggi, vari incarichi di responsabilità: «Vado a termine di servizio per età raggiunta, ma soprattutto a testa alta.»
E intanto, in una nota del Direttore di alcuni dei vari penitenziari dove Carracoi ha lavorato, si legge, in riferimento alla responsabilità di un mafioso molto importante: “La sua professionalità ha permesso che nessun inconveniente o turbativa per l’ordine, la sicurezza e la disciplina si verificasse.”
Insomma, dal 1 luglio potrà riposarsi, anche se il pensiero andrà sempre a tutti gli anni d’impegno trascorsi non solo a fare in modo che regnasse l’ordine, ma anche a capire i detenuti, con un’umanità fuori dal comune e un senso dell’ordine che andava a braccetto con il rispetto per ogni essere umano.

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