Lo sapevate? Un tempo a Castiadas c’era uno dei carceri agricoli più grandi d’Italia

Il carcere era dotato di una falegnameria, un’officina meccanica, una farmacia, una stazione postale, una officina dei fabbri e una stazione telefonica. Intorno, ettari di coltivazioni
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La storia del carcere di Castiadas ebbe inizio, per volere di Eugenio Cicognani, nel 1875 in un periodo dell’anno che somigliava all’inferno. Ma i condannati ai lavori forzati, in fila con i loro carcerieri, sbarcarono lo stesso sulla spiaggia di Cala Sinzias. La loro fatica sarebbe stata enorme: doveva sorgere il carcere agricolo più grande della Sardegna e dell’intera Italia e non c’era tempo da perdere.
Mano a mano che il tempo passava, altri detenuti furono trasferiti a Castiadas per contribuire ai lavori. Il carcere era dotato di una falegnameria, un’officina meccanica, una farmacia, una stazione postale, una officina dei fabbri e una stazione telefonica. L’area intorno al carcere venne bonificata e avviata alla coltivazione di ogni sorta di colture agricole come cereali, legumi, frutta e verdura, servite non solo a sostentamento dei reclusi e del personale, ma anche a fini commerciali. Inoltre, il carcere di Castiadas divenne famoso per la produzione di carbone. Il compenso dei detenuti era determinato dal tipo di lavoro svolto.
Il carcere resistette fino al 1952, ma non fu certo un posto lieto: molte persone decisero di porre fine alla loro vita piuttosto che sopportare le dure condizioni del carcere.
Oggi, però, il vecchio carcere è stato recuperato e trasformato in una meta turistica, soprattutto in primavera quando la zona non è ancora presa d’assalto dai turisti e la temperatura è mite. Nel 2015, l’opera di recupero ha riguardato la casa del direttore, le scuderie e un’intera ala del carcere.

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Dove si cela, in Sardegna, un portale che sembra una storia incredibile scolpita nel bronzo?

Ogni dettaglio racconta una storia, ogni figura sembra muoversi lentamente tra devozione e leggenda. Sapete dove si trova?
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Ai piedi del monte Ortobene, a Nuoro, si trova una chiesa che potrebbe sembrare moderna a un primo sguardo, ma che custodisce un intreccio di arte, storia e devozione che affascina chiunque varchi il suo portone. Parliamo della Madonna della Solitudine, edificata nel XX secolo per sostituire un più antico tempio del 1625. La chiesa fu progettata dal pittore nuorese Giovanni Ciusa Romagna (1907-1958) e completata nel 1959, ma è nell’apparato decorativo che si cela il vero tesoro.
Due grandi artisti sassaresi plasmarono la spiritualità in forme materiali: Gavino Tilocca e Eugenio Tavolara. Tilocca scolpì in marmo il rilievo della Madonna col Bambino nell’abside sopra l’altare maggiore, mentre Tavolara si occupò del portale, del crocefisso, dei candelabri, del tabernacolo e persino della Via Crucis. Le quattordici stazioni, inizialmente pensate in terracotta ma realizzate in bronzo, raccontano la Passione con figure primitiviste sospese su geometrie essenziali: linee rette e forme stilizzate che sembrano fluttuare nell’aria.
Ma è il portale in bronzo a una sola anta a catturare lo sguardo e la fantasia: al centro troneggia la Madonna della Solitudine, seduta in posa ieratica, con un’espressività che ricorda le icone bizantine. Tutt’intorno, una piccola epica di vita pastorale: pastori, greggi, animali, castelli, uomini e donne prendono forma in uno stile libero, organico, quasi fluttuante, tipico di Tavolara. Ogni dettaglio racconta una storia, ogni figura sembra muoversi lentamente tra devozione e leggenda.

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