40 giorni e 40 notti in Madagascar: il progetto del sassarese Giuseppe Urgeghe

Giuseppe Urgeghe, appassionato di viaggi e cultura, si è avventurato in un viaggio di 40 giorni in Madagascar, con l’obiettivo di esplorare la cultura, la natura e la popolazione del paese, documentando la sua esperienza attraverso i suoi canali social
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Giuseppe Urgeghe, 38enne originario di Sennori ma da tempo a Sassari, grande appassionato di viaggi e cultura e titolare di un’agenzia di sviluppo web, si è avventurato in un viaggio di 40 giorni in Madagascar, con l’obiettivo di conoscere in profondità la cultura, la natura e la popolazione del luogo, documentando la sua esperienza attraverso i suoi canali social.
Il progetto, intitolato “Il mio viaggio in Madagascar”, si concentra su un turismo sostenibile e responsabile, che vada a rispettare le regole locali e la cultura del paese.
Urgeghe si è impegnato a documentare la vita quotidiana e le curiosità del Madagascar, cercando di offrire un’immagine completa e autentica del luogo. Nonostante il lungo viaggio e lo “stordimento” iniziale, Giuseppe è determinato a raggiungere il suo obiettivo e ad offrire un’esperienza di viaggio unica e rispettosa del paese che ha ospitato lui e la sua curiosità.
“Avevo in mente questo progetto da tantissimo tempo ma solo quest’anno ho trovato il coraggio di buttarmi in questa avventura. Ovviamente ho portato con me tutta l’attrezzatura per lavorare, ci tengo a continuare a seguire al meglio i miei clienti. Seguo anche qui normali orari di lavoro. Il tempo libero, invece, è tutto dedicato alla scoperta di questa meravigliosa isola” spiega Giuseppe.
Segui il suo progetto sui suoi canali social per scoprire con lui la bellezza e la ricchezza del Madagascar
https://www.instagram.com/ilmioviaggioinmadagascar/
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Il segreto della longevità sonora: perché il Canto a Tenore resiste al tempo ed è un tesoro Unesco

È un fenomeno unico, un coro di voci primordiali che non si limita a risuonare, ma vive tra le pieghe della storia e dell'identità sarda. Il Canto a Tenore, l'espressione musicale più tipica della Sardegna.
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Il segreto della longevità sonora: perché il Canto a Tenore resiste al tempo ed è un tesoro Unesco.
È un fenomeno unico, un coro di voci primordiali che non si limita a risuonare, ma vive tra le pieghe della storia e dell’identità sarda. Il Canto a Tenore, l’espressione musicale più tipica della Sardegna, non è solo un’arte: è la trasposizione sonora del mondo agro-pastorale, un codice antichissimo che l’UNESCO ha elevato a patrimonio immateriale dell’Umanità. Sebbene le sue origini siano misteriose e scarsamente documentate, sono di certo antichissime, e la sua eco si spinge dai monti della Barbagia agli altopiani del Marghine e della Planargia, fino ai Tacchi d’Ogliastra e alle vallate del Montiferru, toccando i paesaggi granitici della Gallura e le colline del Logudoro.
Il Tenore indica sia il canto stesso, sia il gruppo di quattro voci che lo esegue, rigorosamente in piedi e in circolo. La performance è una dimostrazione di simbiosi con la natura, le cui voci sono imitate dalle singole parti. Il canto è guidato da sa oche (o boghe), il ‘solista’, che ha il compito di interpretare il testo poetico e di fornire ritmo e tonalità. Attorno a lui, le altre tre voci creano un fondamento sonoro quasi ancestrale. La nota base è tenuta da su bassu, con un suono gutturale e vibrato, che si unisce a sa contra: insieme cantano monosillabi nonsense. Infine, l’elemento di finezza e virtuosismo è sa mesu oche (o boghe), l’unica a variare continuamente la melodia e ad arricchirla con sas giradas, attenuando l’asprezza dei suoni gutturali. Gli argomenti in questione spaziano dalla poetica bucolica e amorosa ai temi sociali e all’attualità, mantenendo sempre le caratteristiche immutabili della tradizione.
Il vero tesoro del Canto a Tenore risiede nella sua regionalizzazione. Per indicare questa arte, infatti, i nomi variano e ogni paese ha sviluppato un suo preciso ‘codice’, noto come su trattu. La differenza non è solo lessicale – si va da cussertu a Mamoiada e in alta Baronia, a cuncordu nella Barbagia di Ollolai, a Neoneli e a Santu Lussurgiu, fino a cuntrattu a Seneghe e ad Abbasanta – ma anche timbrica e stilistica. Uno dei motivi che rendono affascinante su tenore sta proprio nel cogliere le diverse sfumature da paese a paese. Attorno al Supramonte, per esempio, a Orgosolo e Oliena, il canto si intona con sillabe aperte. Nei dintorni di Orune, invece, le sentirai più chiuse e rotonde, dando all’ascolto l’effetto di un canto più cupo. Esistono tre tipi di canti: il canto a boghe ‘e notte, forse tratto dalle serenate notturne, quello a muttos, con temi amorosi o umoristici, e quello a boghe ‘e ballu, destinato ad accompagnare i balli tradizionali.
Le occasioni per ascoltare il Canto a Tenore sono molteplici e spaziano dall’informale al sacro. Si possono ascoltare le quattro voci durante i raduni tra amici in sos tzilleris, i bar dei piccoli borghi, o a chiudere i momenti conviviali noti come sas rebottas, cioè gli spuntini a base di prodotti tipici. Non mancano le occasioni ‘ufficiali’, come sagre, feste religiose e rassegne culturali nei paesi dove la tradizione è più viva. Per un’esperienza di “immersione” totale, a Bitti è stato allestito il museo multimediale del Canto a Tenore. Grazie a strumenti multimediali, il visitatore potrà comprendere la complessità armonica, ascoltare le singole voci, osservare le esibizioni dei gruppi, e persino imparare i passi dei balli che accompagnano sos cantusu.

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