Il caso del gruppo ‘Mogli’: cosa rischiano gli autori e quali strumenti hanno le vittime secondo l’esperto

Valanghe di segnalazioni e denunce dopo la scoperta del gruppo social "Mogli". Cosa può fare in concreto una vittima? L'abbiamo chiesto a uno dei maggiori esperti di diritto penale dell'informatica, Francesco Paolo Micozzi
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La storia si ripete e, ancora una volta, non abbiamo imparato nulla. Ricordate il sito myexdot.com, chiuso nel 2018 su intervento delle autorità statunitensi? O i canali Telegram come Il Canile, che diffondeva perfino contenuti pedopornografici? Ecco, ci risiamo. Ed è desolante.
Per capire cosa possano fare concretamente le vittime del gruppo Facebook “Mogli” – una community con oltre 32 mila iscritti, dove circolano foto intime delle compagne spesso a loro insaputa che è stato chiuso poche ore fa – abbiamo chiesto chiarimenti a Francesco Paolo Micozzi, avvocato cassazionista e docente di Informatica Giuridica all’Università degli Studi di Perugia, autore di monografie e saggi in materia di diritto penale informatico, protezione dei dati personali e diritto d’autore.
Cosa rischia, dal punto di vista penale, chi si procura e pubblica questi contenuti?
“Ci sono diverse ipotesi di reato da considerare. Partiamo dal revenge porn (art. 612-ter c.p.). In linea generale, non si applica. La norma richiede infatti che le immagini o i video fossero destinati a rimanere privati. Se la persona non sapeva nemmeno di essere ripresa, non può esserci questa destinazione, e quindi il reato non è configurabile. Diverso il caso in cui la vittima fosse consapevole della registrazione e il materiale fosse chiaramente riservato: ad esempio, immagini estrapolate da sistemi di videosorveglianza. In quel caso, il reato potrebbe astrattamente configurarsi. La legge presuppone, insomma, la consapevolezza e il consenso alla realizzazione del materiale, destinato in origine a restare confinato nella sfera privata. Se l’immagine è stata scattata a insaputa della persona ritratta, manca questo presupposto.”
“Molto più plausibile è invece il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), che punisce chi, mediante strumenti di ripresa, si procura indebitamente immagini o notizie relative alla vita privata in luoghi di privata dimora. Se però le foto sono state scattate in luoghi pubblici – ad esempio un bagno di una discoteca o un giardino comunale – il reato non è configurabile. Va ricordato che la norma si applica anche se l’autore è il titolare del domicilio, quando riprende o registra altre persone senza il loro consenso.”
“Non applicabile, invece, il reato di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente (art. 617-septies c.p.), che riguarda solo gli incontri privati o le conversazioni, e richiede anche un dolo specifico. Se viene ripresa una sola persona, non rientriamo in questa fattispecie.”
“Queste sono solo alcune delle implicazioni più immediate sul piano penale, ma restano molti altri profili da valutare, in ambito civile, etico e sociale. Non resta che attendere per capire se verrà avviata un’indagine.”

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