Fu un sardo, originario di un piccolo paese, a inventare la televisione: di chi stiamo parlando?

Oggi quasi più nessuno ricorda il suo nome, eppure, senza il suo contributo, probabilmente il mondo di oggi non avrebbe il volto che conosciamo. Ma di chi si tratta?
All’inizio del Novecento, la città di New York era una calamita per chi cercava un nuovo inizio. Tra i volti anonimi sbarcati in quel periodo, ce n’era uno destinato a lasciare un’impronta invisibile ma profonda nella storia della tecnologia. Un giovane uomo partito da un piccolo paese incastonato tra le montagne sarde, arrivava nella metropoli americana con una valigia piena di appunti, formule e progetti. Non cercava solo fortuna: portava con sé un’idea.
Era un visionario in anticipo sui tempi, e appena un anno dopo il suo arrivo, nel 1906, mise in funzione un dispositivo capace di trasmettere immagini da una stanza all’altra. La sua invenzione, dimostrata negli uffici del New York Herald, lasciò tutti sbalorditi: era una finestra aperta sul futuro, un primo passo verso ciò che oggi chiamiamo televisione.
Eppure, nonostante la portata del gesto, il suo nome cominciò presto a svanire dalle cronache. Nessun culto dell’eroe, nessuna gloria duratura, solo una targa sbiadita nella sua terra d’origine a ricordare che, una volta, un giovane sardo aveva mostrato al mondo ciò che ancora non esisteva.
Nato nel 1879, aveva seguito un percorso di studi classico, arrivando a laurearsi in Giurisprudenza a Roma. Ma i tribunali gli stavano stretti: il suo posto era tra ingranaggi e fili elettrici. A soli 21 anni, aveva già ideato un sistema per prevenire gli scontri tra treni, accolto con entusiasmo dalle compagnie ferroviarie americane e anche da quelle locali in Sardegna.
La sua mente non si fermava mai. Negli anni successivi continuò a sperimentare, riuscendo nel 1917 a realizzare una trasmissione d’immagini tra Londra e New York. Il brevetto arrivò nel 1922: era nato il tubo catodico.
Ma le sue invenzioni non si fermavano alla grande scienza: progettava anche oggetti per semplificare la vita quotidiana — da dispositivi musicali a strumenti ludici, dimostrando che per lui innovare era un istinto naturale, non una professione.
Morì lontano dalla sua isola, nel 1968, senza mai ricevere il pieno riconoscimento che meritava. Solo nel suo paese natale il suo ricordo è ancora custodito con affetto, come quello di un uomo che vide ciò che altri avrebbero compreso solo molti anni dopo.

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