Nina Monne e il linguaggio segreto degli oggetti: quando l’arte diventa rito e memoria

Guardate le sue meravigliose opere nella GALLERY.
C’è un luogo nel cuore della Sardegna dove il tempo sembra scorrere più lentamente, dove i gesti hanno ancora un peso e le parole sembrano portare con sé l’eco di qualcosa di antico. È Irgoli, paese natale e rifugio creativo di Nina Monne, artista e artigiana dell’anima, nata nel 1972 e cresciuta tra libri e silenzi, mani operose e sguardi attenti.
Assistente di biblioteca per mestiere, creatrice per vocazione, Nina è un’autodidatta che ha fatto della sperimentazione artistica un sentiero personale e intimo. Il suo mondo nasce da una domanda semplice e potente: cosa accade quando religione e superstizione si sfiorano? Da lì prende vita un universo di cuori sacri, piccole reliquie domestiche sospese tra fede e simbolo, che affondano le radici nell’arte plastica tradizionale sarda e sbocciano in creazioni delicate e potenti, dense di memoria e di stupore.
I suoi cuori, racchiusi in scrigni di vetro saldati con tecnica Tiffany, sono custodi silenziosi di oggetti dimenticati: rosari, medagliette, fiori secchi, frammenti di stoffa, cartoline ingiallite. Nulla è troppo umile o consumato per non meritare una nuova vita. Ogni cosa ha un potenziale da svelare, un messaggio da sussurrare. “Le idee nascono dal nulla e da tutto, da un legnetto trovato sulla spiaggia, da una frase letta per caso, dal silenzio della natura o dal rumore del mondo digitale”, racconta Nina.
Il suo processo creativo è al tempo stesso razionale e istintivo, fatto di sedimentazione lenta e improvvisi bagliori, di studio e ascolto. Le mani sanno fare, da sempre. Le ha allenate osservando sua madre, apprendendo l’arte del costruire e del custodire. Dal padre ha ereditato la capacità di ponderare, di aspettare il momento giusto per assemblare, per raccontare.
La materia, per Nina, è viva. Le sue creazioni più recenti – cuori sacri modellati con un materiale da lei stessa ideato – sono ispirate ai “coricheddos”, dolcetti nuziali decorati con grazia certosina, ma anche alle forme del ferro battuto, della ceramica, del pane cerimoniale. In ogni opera si ritrova un richiamo alla ritualità antica, quella che un tempo accompagnava ogni gesto quotidiano: la croce tracciata prima di iniziare un lavoro, le erbe raccolte per scacciare il malocchio, la parola pronunciata con fede come atto di guarigione.
“Nella mia terra tutto è simbolo,” dice l’artista, “anche una cucitura può essere una preghiera.” Ed è forse questa la chiave della sua arte: un continuo dialogo tra visibile e invisibile, tra il sacro e il profano, tra ciò che è stato e ciò che può ancora essere. La Sardegna che le vive dentro è fatta di vento e pietra, di sabbia e radici, e nelle sue mani tutto questo si traduce in piccoli universi racchiusi nel vetro, dove ogni dettaglio vibra di senso.
Al suo fianco, sempre, il suo compagno: collaboratore tecnico, ma anche creativo, presenza silenziosa e complice che rende possibile ogni nuova esplorazione.
Nina Monne non costruisce solo opere: ricuce memorie, custodisce segreti, restituisce dignità agli scarti, alle reliquie senza altare. Le sue creazioni non si limitano a decorare: abitano. E chi le osserva non può che sentirsi accolto in un mondo sospeso tra sogno e verità, tra passato e incanto.

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