Antichi mestieri di Sardegna. L’arte de s’iscrarionzu, la lavorazione dell’asfodelo, nei ricordi di Tzia Sebastiana Sanna

Signora Sebastiana, che dimostra almeno dieci anni in meno di quelli che ha, è una donna minuta, vestita con cura e con i capelli acconciati con quel tanto di ordine che fa riconoscere uno stile di vita che si è mantenuto nel tempo. Seduta quasi sul bordo della sua poltrona, ascolta la narrazione della figlia Rosaria, incuriosita come una bambina, alla quale si racconta una favola. Gentile e garbata risponde con la modestia di chi si stupisce che si possa essere interessati alla sua storia
A cura di Rita Coda Deiana
Il mio viaggio attraverso gli “Antichi Mestieri” dell’isola, continua a rivelarmi l’originalità di un popolo- artigiano, che attinge proprio dalla natura la volontà di far rinascere gli antichi mestieri ormai in disuso e trasmetterli alle nuove generazioni. Artigiani che creano partendo da materie prime che la natura offre.
La vera ricchezza in Sardegna è proprio la natura, un bene da difendere e valorizzare. E’ un patrimonio di immensa bellezza che, nonostante i danni provocati dalla mano dell’uomo, ancora sopravvive, con tutto il magnetismo straordinario degli aspetti e dei valori.
Di questo patrimonio inestimabile, fa parte una pianta che fiorisce nella tarda primavera, fra maggio e giugno e che cresce rigogliosa nelle campagne della Sardegna: l’asfodelo (s’iscraria ).
A raccontarmi dell’arte de s’iscrarionzu è la signora Rosaria, originaria di un paesino della Barbagia Nuorese, ma che da tempo vive a Cagliari, per assistere la madre Sebastiana (Serbastiana) Sanna che ha 87 anni e la sua memoria, non è più la stessa a causa della lenta perdita dei ricordi, alla quale, nel 2020, hanno diagnosticato l’alzheimer, una malattia sociale inguaribile che spesso non fa notizia…una malattia che annienta i ricordi e con essi cancella la personalità dell’individuo. Signora Rosaria è testimone portavoce della memoria della madre, la quale, in passato, le ha raccontato i segreti dell’arte antica de s’iscrarionzu.
Origini de s’iscraria e credenze popolari
Asfodelo è un nome che deriva dal greco (Asphodelòs) e significa “la valle di ciò che non è stato ridotto in cenere,” così chiamato perché i suoi tuberi sopravvivono anche agli incendi. Veniva considerata dal popolo ellenico una pianta sacra, pianta degli eroi e della vita ultraterrena. Era usanza dei popoli Romani, mettere a dimora la pianta dell’asfodelo, davanti alle porte delle case, affinché tenessero alla larga i sortilegi maligni.
In Sardegna era usanza popolare delle giovani donne, nascondere un piccolo tubero di asfodelo nell’orlo delle gonne lunghe, per far innamorare la persona interessata.
La storia della signora Sebastiana narrata dalla figlia Rosaria
Il territorio della Sardegna, con la vasta presenza della pianta dell’asfodelo, rappresenta grande fonte per l’arte dell’intreccio e per la produzione di cesti (corbulas), un antico mestiere con tradizioni millenarie legate al mondo agropastorale e contadino dell’entroterra dell’isola. Signora Rosaria racconta che l’arte dell’intreccio dell’asfodelo, chiamata “s’iscrarionzu”, di cui, purtroppo solo poche persone ne rimangono custodi, è una tradizione antichissima preservata con grande cura.
Signora Sebastiana, che dimostra almeno dieci anni in meno di quelli che ha, è una donna minuta, vestita con cura e con i capelli acconciati con quel tanto di ordine che fa riconoscere uno stile di vita che si è mantenuto nel tempo. Seduta quasi sul bordo della sua poltrona, ascolta la narrazione della figlia Rosaria, incuriosita come una bambina, alla quale si racconta una favola. Gentile e garbata risponde con la modestia di chi si stupisce che si possa essere interessati alla sua storia. Ricorda il nome del suo paese originario.
Ogni tanto ripete sempre le stesse frasi:
“Amavo il mio paese. Ho avuto una vita di sacrifici. Ho vissuto sempre nella stessa casa, con i figli da crescere. Ho lavorato tanto, io”.
Non riesce a raccontare di più della sua vita. Ha allevato i figli da sola, perché solo dopo otto anni di matrimonio è rimasta vedova. Ha un remoto ricordo del marito, ma è consapevole che sia morto da giovane, lasciandola sola ad affrontare i problemi, senza soldi e con i figli da crescere. Quando le ho domandato il nome del marito, dopo un attimo di silenzio, signora Sebastiana guardandomi stupita, mi ha risposto che non se lo ricorda, con occhi dispiaciuti, più perché non mi ha fatto una cortesia che per la dimenticanza in sé.
Quando rimase vedova viveva in una casa in campagna, vicino al padre che le è stato discretamente accanto e la ha aiutata nelle necessità di famiglia, quando ha potuto. Signora Sebastiana ha lavorato tanto, per far studiare i figli e garantire loro un futuro e, tra i suoi tanti lavori umili, vi era quello dell’arte antica de s’iscrarionzu, un antico mestiere che le era stato insegnato e tramandato dalla madre, che le permetteva di sostenere l’economia familiare. Anche oggi non può fare a meno di fare qualcosa, realizzando qualche piccolo cestino, che poi regala alle nipoti. Trascorre il suo tempo così, con le mani in movimento mentre guarda la televisione. Riesce ancora a leggere, anche se poi dopo non ricorda ciò che ha letto, ma sia la manualità nella realizzazione dei cestini che la lettura, sono dei riti che l’aiutano a scandire il ritmo delle sue giornate. Purtroppo sta perdendo anche queste abilità e i suoi lavori non procedono più come in passato.
Fasi di raccolta e lavorazione dell’asfodelo
Signora Rosaria racconta che la madre provvedeva alla raccolta dell’asfodelo nei mesi primaverili (da Marzo a Maggio) quando la pianta era ancora malleabile. Poi, il raccolto veniva lasciato al sole per essiccare, per un periodo che variava dai dieci ai venti giorni. Dopo la fase dell’essiccazione “s’iscraria”, veniva raccolto in mazzi e custodito in luoghi asciutti, dove si poteva conservare a lungo. Dopo la fase dell’essiccazione, s’iscraria veniva immerso nell’acqua per circa sei ore, affinché diventasse flessibile e si potesse sfilare più facilmente per la lavorazione. In seguito, si procedeva alla divisione della corteccia dalla parte tenera della pianta.
S’ISCRARIONZU: l’arte dell’intreccio
Nell’arte dell’intreccio de s’iscraria, veniva utilizzata la parte tenera della pianta e nella lavorazione, per la cucitura di una verga con l’altra, si utilizzava un grosso ago acuminato (su raju) che spesso veniva realizzato con osso di animale levigato. Grazie all’intreccio delle mani esperte, sa corbula prendeva vita dalla parte tenera de s’iscraria, partendo dal fondo per poi lavorare i lati, e solo al giro finale il cesto veniva abbellito con punti particolari. Invece la corteccia veniva utilizzata per la chiusura dei bordi de sa corbula.
La manualità dell’antico mestiere, con il suo valore universale, può essere considerata uno strumento di inclusione sociale, quasi un tramite tra l’interiorità e l’esterno, tra un potenziale pressoché illimitato e la concretezza dell’atto in sé. La mano plasma e modella un’idea astratta che si concretizza sempre di più fino ad avere la valenza simbolica dell’essenza, e cioè della realtà al di là dell’apparenza. Questo passaggio attraverso la manualità rende visibile e tangibile ciò che si agitava interiormente, allontanando così la barriera dell’esclusione. Si inserisce in questo senso la sua fruibilità e la sua caratteristica di inclusività nell’ambito sociale quotidiano.
Il passato diventa quindi maestro e guida verso nuove mete che insieme diventano veri e propri obiettivi non più irraggiungibili. In questa inclusività rinnovata la persona intraprende un viaggio che parte dal più profondo sé e trasforma il divenire in una serie di nuove scoperte nelle quali “nuovo” ha valenza di “esperienzialità”.
S’iscrarionzu, un’Arte Antica in grado di preservare la Memoria, affinché non si disperda nei meandri del Tempo che passa. Così come nel caso della signora Sebastiana, che prima di salutarmi, guardandomi negli occhi in segno di gratitudine, le sue mani diventano protagoniste di uno scambio reale e attraverso il tatto raccolgono informazioni e si trasformano in un ricettacolo informativo che le parla interiormente di qualcosa o di qualcuno del suo passato. Sono mani intermediarie tra uno slancio interiore e la sua attualizzazione, che non possono tralasciare il loro ruolo nell’ambito dell’affettività umana.
Ogni slancio viene realizzato ed esplicitato attraverso un contatto diretto tra mani che si avvicinano e si sfiorano, che comunicano tra loro ancor prima dello sguardo, della parola o della Memoria.
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