Lo sapevate? Perché in Sardegna si spara ai cartelli stradali?

In Sardegna, soprattutto nei paesi dell'interno (ma non solo), ancora si spara ai cartelli stradali. C'è un motivo?
Lo sapevate? Perché in Sardegna si spara ai cartelli stradali?
In Sardegna, soprattutto nei paesi dell’interno (ma non solo), ancora si spara ai cartelli stradali. C’è un motivo?
Spesso in Sardegna, soprattutto nei paesi dell’interno, ma capita anche al sud o al nord, in Gallura, o in altre subregioni, ci si imbatte in cartelli stradali sforacchiati da proiettili. Ti guardi intorno, nessun duello all’orizzonte, nessun cowboy, eppure quei cartelli parlano chiaro: qui si spara. Ma perché?
Dare una risposta definitiva è difficile. Però possiamo fare qualche ipotesi. No, non è un’abitudine per orientare i cecchini in allenamento e nemmeno un’iniziativa artistica in stile “street art” (o meglio, “shoot art”). È una tradizione, un codice non scritto, un mix di storia, orgoglio, protesta e, a volte, semplice noia.
Non tutti i cartelli sono forati, certo, ma ammettiamolo: ce ne sono abbastanza da farti pensare che il piombo, in Sardegna, non si limiti solo ai testi delle canzoni popolari. Per alcuni è un avvertimento: qui non si scherza, questo è il nostro territorio, e non dimenticare che ci sono regole che non troverai scritte da nessuna parte. Per altri è una questione di ribellione: lo Stato latita? Noi facciamo da soli, a modo nostro. Poi c’è chi lo vede come un rito di passaggio: il battesimo del fuoco (letteralmente) per i più giovani, che con un colpo ben piazzato dimostrano di essere entrati nella cerchia giusta.
E non dimentichiamo l’emulazione: se il paese vicino ha il cartello crivellato, vuoi che il nostro resti intonso? Sarebbe quasi un’umiliazione! Così, tra un bicchiere di Cannonau e un discorso sulla disoccupazione, qualcuno decide che quel cartello, vergognosamente integro, non può rimanere così.
Ma attenzione, dietro il piombo c’è anche poesia. Perché quei buchi raccontano una storia: una storia di isolamento, di battaglie contro l’abbandono politico, di un popolo che, tra pecore e banditi, ha sempre avuto un concetto di giustizia tutto suo. Una giustizia imperfetta, certo, a volte esagerata, a volte nostalgica di un passato di balentia e di leggi non scritte, ma sempre radicata in un senso di comunità profondo.
Quindi no, quei fori non sono solo un vandalismo qualsiasi. Sono un linguaggio. Un linguaggio fatto di piombo, di orgoglio e di un senso di appartenenza che, per quanto controverso, è impossibile da ignorare.

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