«Mission? Cercare la bellezza». La storia di Valentina Loche, attrice, regista ed educatrice
45 anni, oranese. Facciamo un tuffo nel suo percorso lungo 25 anni. «Mi sveglio felice perché i miei figli già di prima mattina mi puntano addosso i loro sguardi sereni e sorridenti e perché faccio il lavoro che adoro, trasformando le mie passioni in professione.»
«Come mission? Prendermi cura dei miei bambini e della mia famiglia che ha sempre creduto in me, ritagliare i miei spazi di creatività e incontro, scrivere, portare in scena, cercare la bellezza.»
45 anni, oranese, attrice, regista e pedagogista, con una laurea in Scienze dell’Educazione: Valentina Loche è un’artista poliedrica. Ah, è anche una mamma innamorata dei suoi bambini, con un’attenzione particolare alla famiglia.
Ma partiamo dall’inizio.
«Il mio percorso di studi inizia con un odio profondo per l’italiano e con l’etichetta “superficiale” che le maestre mi avevano ben piazzato senza possibilità di nessun ripensamento qualunque sforzo facessi» spiega la Loche. «Nessun sogno e nessun amore per lo studio, d’altronde ero superficiale, così mi dicevano. È mia madre, che voleva che diventassi autonoma e libera, a convincermi a proseguire gli studi. Scienze dell’educazione: un percorso che mi permetteva di studiare temi sociali da me conosciuti al Liceo Scientifico durante ore di lezione inconsuete. Esame dopo esame mi appassiono alla psicologia, pedagogia, antropologia e alla filosofia. Materie che formeranno sia la mia persona che il mio futuro lavoro in modo inedito, ma allora io non lo sapevo.»
Insomma, la volontà di farcela trasmessa dalla mamma, nonostante il parere – sbagliato – altrui, l’ha portata nella strada giusta, quella che meritava di percorrere.
Il teatro arriva con i suoi 18 anni, frequentando un laboratorio della Compagnia I Barbariciridicoli.
«Ero timidissima. Mio fratello, che si era già iscritto, con tanta grinta e determinazione trasforma il mio no assoluto verso il teatro in un va bene proviamo. Arrivano gli studi universitari e il lavoro di educatrice che mi donano una forte passione per le relazioni di cura e supporto all’emancipazione.»
Durante la prima gravidanza, tuttavia, qualcos’altro esplode dentro di lei. È una passione gemella, come la descrive, e così entra nel mondo della scrittura: «Inizio a scrivere il blog Millimetroemezzo (in cui dialogo con la nascitura delle sfaccettature della vita) dando sfogo alla scrittura e abbattendo le barriere della famosa etichetta. Fin dall’adolescenza amo scrivere e raccontare. Col blog inizio a scrivere per un pubblico ampio e unisco educazione e scrittura iniziando così a parlare di genitorialità accogliente» dice. «Nel frattempo continuo a chiedermi cosa voglio fare da grande, poi ad un certo punto prendo un pentolone e ci metto le mie tre passioni: teatro, educazione e scrittura. E nasce così la Valentina che scrive, va in scena, conduce gruppi e laboratori, porta sul palco e diffonde messaggi educativi.»
Come attrice esordisce da giovane, ad appena ventun anni. Alle spalle, ha due laboratori con I Barbariciridicoli.
«Nel questionario d’ingresso, alla domanda “sei disposta a fare il saggio finale?” la mia risposta è stata NO. Poi il 24 luglio 1999 ho fatto il saggio, che poi è diventato uno spettacolo teatrale in lingua sarda dal titolo “Manichinzuzù”, e da quel momento non sono più scesa dal palcoscenico. Ho lavorato per 20 anni con la Compagnia I Barbariciridicoli e nel 2017 ho iniziato a produrre i miei spettacoli che attualmente si avvalgono della presenza di due splendidi collaboratori: il musicista Gianfranco Delussu e il tecnico suono luci Roberto Piredda.»
Ma cosa prova un’attrice quando recita? Quali sono le emozioni, le paure?
«Quando salgo sul palco entro in un’altra dimensione. Il primo effetto catartico l’arte in scena lo produce su di me. Metto in OFF la mia vita e in ON quella dei personaggi che interpreto. A volte mi succede di entrare in un totale stato di grazia dove accolgo completamente ciò che accade in scena e mi ritrovo in balia di ciò che succede sul palco. Mentre negli spettacoli dove racconto e leggo, nei quali uso la bioeducazione e parlo di me per trasmettere messaggi educativi, l’emozione è diversa.
Ciò che provo sul palcoscenico dipende molto dallo stato emotivo del momento. Solitamente accade che se non sono proprio in forma riesco ad essere più efficace sul palco»
Nelle sue produzioni, la Loche tratta tematiche che le stanno a cuore, quelle sociali: «La libertà, le relazioni, l’amore incondizionato, le sofferenze mentali, l’educazione, le emozioni, la genitorialità. Sono temi che ho a cuore perché nascono dalla mia professione iniziale di educatrice e che assieme all’arte sono spinta per un cambiamento in cui credo molto.»
Poi, nel 2017, viene fondata l’associazione CambiaMentis.
«Nasce il 17.11.2017, di venerdì, per iniziare a dare un calcio alla superstizione che ritengo sia un modo comodo per giustificare gli eventi e sedare la nostra azione per un possibile futuro afferrabile» chiarifica. «Lo scopo dell’associazione è quello di creare attività di utilità sociale e di promozione culturale con l’obiettivo di un cambiamento attivo, libero e consapevole. La scelta del nome CambiaMentis è un gioco di parole sulla locuzione latina forma mentis che significa letteralmente forma/idea/impostazione della mente. L’idea di base è che si possa cambiare modo di pensare in base all’evoluzione della mente e della società in cui viviamo. Il cambiamento è necessario per poter costruire una vita migliore, da vivere assieme, come comunità educanti e aperte. L’associazione basa le sue attività sulla forza trasformativa della cultura, dell’educazione e del confronto attivo.»
Ma la 45enne oranese e la scrittura sono unite a doppio filo, come abbiamo detto.
«Amo scrivere soprattutto ciò che mi accade e ciò che osservo. È un qualcosa che mi viene spontaneo mentre vivo la giornata, le parole arrivano all’improvviso e devo solo trovare un momento di solitudine e di silenzio per metterle per iscritto. Come mi accade per i post sui social: vivo, scrivo, pubblico, rileggo e mi sento bene. La scrittura ha un bellissimo effetto su di me, mi dà la possibilità di comunicare in diversi modi: dal web al palco, dal digitale al reale.»
Valentina del resto è attiva anche sul fronte dell’educazione dei ragazzi, coinvolgendo le scuole in vari progetti.
«Ritengo che per un possibile cambiamento occorra lavorare sulle nuove generazioni stimolandole all’autonomia e al pensiero critico e rafforzando la loro autostima. I miei progetti trattano sempre temi socioeducativi: per esempio sulle dipendenze (anche emotive), sulle emozioni, sull’educazione sentimentale. Nei miei progetti i ragazzi sono sempre protagonisti e mai ascoltatori passivi poiché per imparare bisogna mettersi in gioco e fare pratica, porre domande e provare a dare risposte. I vari laboratori sono sempre multiformi poiché contengono diverse forme d’arte (dal teatro alla pittura, dalla scrittura al reading), oltre a testimonianze dirette di chi ha vissuto esperienze legate al tema poiché i racconti in prima persona insegnano molto più della teoria.»
Ma l’impegno è anche verso un tema che, per noi sardi, è di fondamentale importanza: la preservazione e valorizzazione della nostra lingua.
«La lingua sarda è la nostra radice, ciò che ci lega alla nostra terra fin dalla nostra nascita ma è anche il nostro modo di conoscere e descrivere il mondo, un mondo aperto a tanti altri mondi possibili in cui le parole del sardo abbiano la stessa dignità di quelle pronunciate in altre lingue. Come per ogni radice è importante che quella linguistica rimanga sana e forte per far crescere la pianta che in questo caso è definita dalla nostra identità. Conoscere le nostre radici per poter germogliare pienamente consapevoli di ciò che siamo e che possiamo essere in un mondo di popoli che si incontrano con pari dignità. Il 2023 per me è stato l’anno in cui ho davvero celebrato consapevolmente uno dei più grandi doni fattomi dai miei genitori e cioè la mia lingua madre: il sardo. Paradossalmente nell’anno in cui ho salutato mio padre la lingua sarda è stata il tappeto e lo strumento per numerose esperienze professionali, artistiche, didattiche e attoriali. Ho utilizzato la mia lingua madre a scuola come docente di lingua sarda, in alcuni laboratori teatrali con i bambini e sul palco con il Giorno del Giudizio; il romanzo corale di Satta, in effetti, l’ho sempre sentito risuonare in sardo, la nostra lingua, la lingua di quei nuoresi che Satta ha ritratto così nitidamente.»
E per quanto riguarda i progetti – a breve e lungo termine – tanto bolle in pentola.
«Attualmente sto lavorando ad uno spettacolo sulle relazioni tossiche insieme alla neuropsichiatra Franca Carboni. Un tema molto delicato di cui si parla forse troppo poco. Il nostro proposito è quello di portarlo in scena per permettere a tutti, a partire dai ragazzi delle scuole superiori, di confrontarsi con questa possibile problematica e saperla riconoscere ed affrontare» spiega ancora. «Continuo a portare in scena le mie produzioni su Alda Merini e la poesia, sull’educazione e la parità di genere. Conduco laboratori di teatro sociale, educativo, emozionale e comunitario in differenti contesti. Attualmente seguo il gruppo BulTeatro di Bultei con il quale abbiamo avuto le prime esperienze in scena e un laboratorio con l’associazione Inoghe di Ozieri che si concluderà con un’originale esito scenico tra danza e teatro, in collaborazione con Asd Dance Accademy di Ozieri. Inoltre, dal 2021 collaboro con la Compagnia Cannàsas Teatro di Orgosolo per la quale curo la regia di alcuni spettacoli. Partecipo a diversi progetti come attrice freelance tra cui lo spettacolo teatrale “Il giorno del giudizio” prodotto da Sardegna Teatro con la regia di Marco Spiga con il quale abbiamo esordito al Teatro Eliseo di Nuoro in due date entusiasmanti da tutto esaurito. Il 24 luglio 2024 sarà il mio 25° anniversario come attrice teatrale e spero di poter festeggiare in scena con un evento dedicato.»
E, quando le si chiede quale domanda non sia stata fatta, è chiara: «“Sei felice?”
È una domanda che poche volte poniamo sia a noi stessi che agli altri.
Mi sveglio felice perché i miei figli già di prima mattina mi puntano addosso i loro sguardi sereni e sorridenti e perché faccio il lavoro che adoro trasformando le mie passioni in professione.»
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