«L’abito tradizionale villagrandese, unicità e bellezza»: Fabrizio Contu, presidente del Gruppo Folk S. Gabriele
Il Gruppo Folk San Gabriele, capitanato dal villagrandese, è stato subito caratterizzato proprio dalla mission di Contu, che questa passione se la porta dietro fin da bambino: riportare in auge l’antico abito tradizionale del suo paese, con studi e ricerca.
«Sin dal 1999, anno dell’inizio del sodalizio, mi sono documentato per tutelare e divulgare le peculiarità dell’abito tradizionale villagrandese, un unicum nella zona. Per arrivare a dei risultati, mi sono basato anche su tante conversazioni avute con chi poi è diventato centenario, perla del nostro angolo di mondo.»
Sì, perché il Gruppo Folk San Gabriele, capitanato dal 50enne villagrandese, è stato subito caratterizzato proprio dalla mission di Contu, che questa passione se la porta dietro fin da bambino: riportare in auge l’antico abito tradizionale del suo paese, con studi e ricerca. Ad oggi, si può dire che la sua missione sia completa.
«Tutto questo lavoro ha fatto sì che il nostro abito arrivasse ai giorni nostri più fedele all’originale che mai, e l’associazione ha la fortuna di poterlo esibire e ammirare grazie alla generosità dei compaesani che lo hanno donato, dopo averlo custodito con cura – ereditato dai propri avi – per decenni.»
Molte le differenze tra l’abito villagrandese e quello dei comuni limitrofi, come specifica Contu. Addirittura, molte le dissomiglianze anche con Villanova, seppur così vicini. «Gli abitanti di Villanova, aprendo i cassetti delle proprie nonne,» spiega Contu «hanno trovato dei tesori inestimabili, che mettono in evidenza la provenienza dei propri avi da ogni parte della Sardegna ad esempio. Questo ovviamente ha fatto sì che sia ballo che abito, nonostante la vicinanza tra i due paesi, siano molto distinti.»
Molti i dipinti che testimoniano le particolarità dell’abito tradizionale villagrandese, che Contu spiega nei minimi dettagli: «La bellezza dell’abito femminile sta nella sua austerità che si sposa alla perfezione con la semplicità. È contraddistinto da “Is Gancios de frenu”, applicati a “Su Colore”, ossia il copricapo. Oltre ad abbellire il viso delle nostre donne, era un gioiello che distingueva Villagrande da qualunque altro paese sardo. Lo scialle in tibet, con le frange marroni (chiamate dalle nostre nonne “color’e caffè”), aveva un effetto da “vedo, non vedo” sulle camice, quasi a nascondere le prosperità del petto, mentre il pesante orbace color vinaccio usato per la gonna, “sa unnedda”, e per il grembiule, “s’antalena”, erano arricchiti da nastri fioriti chiamati “fettasa”, rigorosamente a sfondo viola con fiori gialli e rossi e “Su galone”, un nastro dorato come arricchimento. “Su Gippone”, anch’esso di vinaccio o color’e caffè, che riprendeva i nastri della gonna, chiuso in vita con “Is Gancios” uguali a quelli de “Su colore”.»
Altrettanto semplice, l’abito tradizionale maschile.
«Caratteristico il gippone in panno nero e rosso, con ricami in bottoni d’argento successivamente sostituiti con le monete di Vittorio Emanuele chiamati “soddoso”. Infatti, i bottoni venivano donati per la patria. Sopra Su gippone, c’era “S’aste pedde”, in gilè di panno nero e ricami rossi. A scendere, sopra de Sa raga de linu, i pantaloni bianchi, troviamo Sa raga de orbace, un gonnellino di orbace abbellito con velluto o raso viola a bordare l’interno. Completano l’abito Is cartzones, sempre in orbace.»
«Tutto questo,» dice Contu «lo dobbiamo ai nostri avi, dei quali dobbiamo essere orgogliosi. La mia missione volgerà al termine attivamente dopo il passaggio del testimone a chi, dopo di me, con passione e dedizione, si prenderà cura dell’associazione. Io ovviamente assicurerò il mio sostegno attivo» rimarca. «Il prossimo progetto è la realizzazione di un libro che raccoglierà aneddoti, testimonianze, foto in modo da lasciare nel tempo, ai futuri ballerini, linee guida affinché trovino le risposte necessarie a ricostruire l’abito tradizionale villagrandese.»
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