Il pecorino sardo: la storia e le caratteristiche del formaggio sardo più amato e conosciuto
Sapete fin da che tempi viene preparato e mangiato? La storia del pecorino sardo e la differenza rispetto a quello romano
Il pecorino sardo è il formaggio più tipico della Sardegna, ma anche il formaggio ovino più diffuso in Italia insieme al pecorino romano, che è anch’esso un pecorino sardo. E’ uno dei formaggi più tipici della Sardegna, fatto rigorosamente con latte di pecore di razza sarda, con una precisa lavorazione affinata nei millenni e immutata da secoli. È un formaggio a pasta dura o semidura e semicotto, che significa che dopo la cagliata la pasta di formaggio è stata scaldata a bassa temperatura, 43° al massimo. Per pecorino sardo s’intende un prodotto caseario preciso, diverso da altri formaggi di pecora prodotti nell’isola, come il fiore sardo o il pecorino romano. La materia prima è la stessa, ma la lavorazione fa la differenza.
Il pecorino sardo è titolare della Denominazione d’origine dal 1991 e della Denominazione d’origine protetta (DOP) dal 1996. Non è l’unico formaggio ovino della Sardegna a fregiarsi del marchio: è in compagnia di Pecorino Romano – che si, è prodotto principalmente in Sardegna – e Fiore Sardo. La DOP prevede due diversi tipi di pecorino sardo: pecorino dolce (formaggio semistagionato, con un tempo di maturazione che va dai 20 ai 60 giorni) e pecorino maturo (ha un tempo di stagionatura di almeno 2 mesi).
La sua origine è antichissima, dobbiamo andare addirittura agli albori dell’era nuragica, quando l’allevamento della pecora sarda divenne il mezzo di sostentamento principale nell’isola. Durante il periodo romano, la Sardegna era il più importante centro di produzione di grano. I grandi disboscamenti per far spazio alla coltivazione del cereale crearono le condizioni per la nascita di ampie zone di pascolo e grazie anche alle condizioni climatiche favorevoli e nei secoli successivi l’allevamento ovino si diffuse largamente. Era presente sulle tavole dei nobili romani e durante il periodo dei Giudicati ne venivano esportate diverse varietà, tra le quali: il Sardesco, il formaggio di Arborea, il formaggio di Torres e il formaggio di Gallura. Nell’Ottocento la produzione casearia della Sardegna assunse dimensioni industriali. Sorsero addirittura dei centri per la lavorazione e la stagionatura, che producevano esclusivamente per l’esportazione in America del Sud e del Nord. Si chiamavano caselli.
Il metodo di produzione del pecorino si è adattato al passare degli anni, ammodernandosi nelle tecniche e negli strumenti, ma mantenendo comunque una forte impronta tradizionale. Le innovazioni principali sono avvenute nella seconda metà del Novecento, dagli anni ’60, quando furono introdotti utensili più pratici per misurare la temperatura e filtrare il latte. In Sardegna il latte ovino è una grande risorsa economica: costituisce quasi il 60% della produzione nazionale.
Fare il pecorino sardo non è complicato, ma richiede esperienza. La difficoltà principale sta nel rispetto dei tempi, delle temperature e soprattutto delle dosi, che possono comunque variare a seconda dei gusti propri e dei clienti. Tutte abilità che si affinano con la pratica. Ma ecco come si fa il pecorino sardo secondo il procedimento tradizionale! Innanzitutto le pecore devono vivere in stato semibrado, all’aperto per la maggior parte del tempo, e brucare soprattutto erbe spontanee. Un’alimentazione che rende il latte saporitissimo e sempre diverso, a seconda della stagione e del luogo e può essere integrata, quando necessario, con foraggi e mangimi.
Procedimento tradizionale per il pecorino sardo: il latte di pecora, una volta munto, viene generalmente messo all’interno di contenitori in acciaio. A questo punto viene versato all’interno di un contenitore di rame di grandi dimensioni, detto caddargiu, filtrandolo con l’aiuto di un panno bagnato. Il passo successivo è portare il latte a una temperatura compresa tra i 35 e i 39 gradi. Durante la cottura, il pastore solitamente gira il latte di tanto in tanto con un mestolo in legno di erica o corbezzolo, detto sa moriga. Una volta che il latte è arrivato alla temperatura giusta, si aggiunge il caglio per far partire la coagulazione. Poi su caddargiu viene tolto dal fuoco e lasciato riposare per circa venti minuti con sopra un panno. A questo punto si è formata la cagliata, che viene rotta mescolandola con sa moriga e ridotta a granuli di misura diversa a seconda del tipo di pecorino. Ora il composto va scaldato di nuovo sino ad un massimo di 43°, per ottenere un formaggio a pasta semicotta. Raggiunta la temperatura, si toglie su caddargiu dal fuoco e si fa riposare il tutto coperto per una decina di minuti.
Ora si è formata la pasta di formaggio, che viene divisa a seconda del numero di forme che si vogliono ottenere. Queste fette vengono messe all’interno di contenitori forati detti giscos o aiscos e vengono pigiate con le mani per far fuoriuscire il siero (su suru). È così che il formaggio acquista la sua caratteristica forma. Passate 6-7 ore, il formaggio viene cosparso di sale per evitare che si inacidisca. Il giorno successivo viene lavato e messo ad asciugare in un luogo fresco e asciutto sopra delle tavole di legno, dove proseguirà la stagionatura. Durante questo periodo il formaggio viene periodicamente unto per evitare che la crosta si spacchi, generalmente con olio d’oliva.
Sino a qualche decennio fa i pastori facevano il formaggio accanto al luogo di mungitura, generalmente all’interno di un rifugio tradizionale chiamato barraccu o pinneto, il loro unico riparo nei periodi trascorsi in aperta campagna. Prima della diffusione del termometro erano soliti misurare la temperatura affidandosi all’esperienza e all’intuito, immergendo nel latte il dito indice oppure la mano o il gomito. Non esisteva il concetto di pastorizzazione del latte, ma d’altra parte non c’era molto tempo per eventuali contaminazioni: il latte era davvero freschissimo. Poi i naturali processi fermentativi e l’acidificazione facevano la loro per creare la giusta flora microbica. E se qualcosa andava storto, i pastori erano solitamente in grado di capirlo dall’aspetto e dall’odore del formaggio. Oggi nei procedimenti industriali il latte si pastorizza il latte prima della caseificazione.
Differenza tra Pecorino Sardo e Pecorino Romano
Il pecorino sardo è un formaggio da tavola e da grattugia, mentre il pecorino romano si usa principalmente grattugiato sopra piatti tipici della cucina romana. Anche per questo il sardo ha una stagionatura media più breve, di 2-4 mesi, contro i 5-8 del romano. Il pecorino sardo è meno salato e ha un sapore e una consistenza che lo collocano a metà strada tra il pecorino romano e il parmigiano. Entrambi i formaggi sono prodotti con latte di pecora di razza sarda, ma non solo in Sardegna, visto che una certa percentuale di pecore sarde è emigrata nella penisola insieme ai pastori. Nonostante il nome, il pecorino romano viene prodotto per il 97% in Sardegna, per il resto in Toscana e nel Lazio. I due pecorini hanno metodi di produzione simili che però lavorano a temperature diverse. Inoltre durante la preparazione del pecorino sardo la pasta di formaggio viene pressata a lungo per far fuoriuscire la maggior parte del siero, operazione non prevista nel caso del pecorino romano. Anche la forma si differenzia: il pecorino sardo è leggermente più schiacciato del romano. Fonte botteega.it
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