Si ammala di leucemia a due anni e mezzo, ora vive sereno. Luca Melis: «Vivo felice, senza rimpianti»

«Sicuramente questo fatto mi ha dato la forza per affrontare la vita in un modo diverso, cercando di essere sempre felice e di fare tutto quello che mi faceva stare bene, senza avere rimpianti.» La parola al 23enne Luca Melis, ora laureato in Scienze Motorie e istruttore in palestra
Se c’è una cosa a cui non si può mai – MAI! – fare l’abitudine è la sofferenza dei bambini. Ma la vita, si sa, è particolare e sa essere dura e bella insieme. Per qualcuno, poi, il percorso è costellato di ostacoli e di pietre e di strapiombi ma il coraggio dei più piccoli sa essere inscalfibile, duro e impenetrabile come un pezzo di marmo sardo. E quando arriva il lieto fine, la vetta da cui si guarda il passato è piena d’aria buona, quella tipica dell’Isola.
«Ero un bambino molto attivo, giocherellone, socievole e affettuoso. È arrivato in seguito un periodo in cui ho smesso di essere così: ero costantemente stanco e svogliato, cosa che non era normale per i miei atteggiamenti soliti. Anche semplicemente fare le scale da solo, a cui ero abituato, o giocare semplicemente con mio fratello non era più nella mia quotidianità. Questo, infatti fece allarmare i miei genitori.»
A raccontarci questa storia, con precisione e solarità, è Luca Melis, 23enne di Quartucciu.
E i sospetti di mamma e papà son giusti: nel 2002, a febbraio, arriva la diagnosi: Leucemia linfoblastica acuta.
«Io ero molto piccolo e in quel momento non potevo capire cosa stesse succedendo. Le ansie e le paure erano soprattutto sentimenti che provavano i miei genitori. Non capivo perché mi trovassi costantemente in ospedale, perché anche i miei compagnetti di scuola non andassero.»
È piccolo, troppo piccolo per comprendere appieno la situazione. I suoi genitori, del resto, provano a farsi carico delle ansie, delle angosce, delle sofferenze per riuscire a liberare lui, così bimbo e già guerriero.
«Hanno cercato di farmela vivere nel modo più normale possibile, e pian piano col passare del tempo cercavano di spiegarmi cosa effettivamente avessi» racconta, andando indietro nel tempo di quasi due decenni. «Poche erano le paure quando entravo in ospedale, forse qualche esame particolare, però sono riuscito ad ambientarmi e trovarmi a mio agio anche se a quell’età si fanno altre cose.»
Ci sono altre bimbe, con lui, altri bimbi, e tutti vengono tenuti occupati: questo permette ai piccoli di sperimentare, di non annoiarsi e di essere protetti.
«I miei ricordi sono lontani, ma grazie ai miei genitori sono riuscito a rimettere in ordine una buona parte di quel vissuto.»
Nel 2004, terminano le terapie: Luca risulta guarito. Sempre sotto controllo per anni, ma sereno.
«Sicuramente questo fatto mi ha dato la forza per affrontare la vita in un modo diverso, cercando di essere sempre felice e di fare tutto quello che mi faceva stare bene, senza avere rimpianti» chiarisce, con la pacatezza che lo contraddistingue. «Adesso ovviamente ho una vita ordinaria. Mi sono laureato nel 2021 in Scienze Motorie, e sto continuando il mio percorso di studi in Scienze degli alimenti e della nutrizione.
Sono riuscito a trovarmi un’occupazione in palestra come istruttore, un piccolo lavoretto che mi permette di continuare a studiare e a giocare a calcio, la mia più grande passione che rincorro da quando avevo 5 anni e che non ho mai abbandonato.»
Insomma, riesce a trarre dall’esperienza della sua infanzia la forza per raggiungere tutti i suoi traguardi, per combattere per quello che desidera, sempre gioioso e innamorato della vita.
«Ripensandoci adesso sicuramente non è stato facile affrontare tutto questo, non tanto per me ma per le persone vicino a me. I miei genitori hanno cercato sempre di non farmi mancare nulla, di farmi vivere una vita “normale” nonostante tutte le difficoltà affrontate. Hanno fatto tutto e forse anche di più e ne sono veramente grato» chiude, con commozione. «Anche mio fratello, indirettamente, ha dovuto affrontare situazioni particolari. Era in quell’età in cui iniziava già a capire cosa stesse succedendo. Non è facile anche perché potresti sentirti in disparte visto comunque le attenzioni particolari che ricevevi. Mi è sempre stato vicino a parte quando volevo mangiare anche il suo pasto» ride. «È stato comunque il mio compagno.»
E in queste parole si intravede l’importanza dell’unione fraterna e familiare, quella roccia a cui aggrapparsi sempre. Perché, checché se ne dica, i legami di sangue ci rendono quelli che siamo e troveremo sempre un porto sicuro nelle persone che amiamo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA