Vivere con la talassemia, l’ogliastrina Denise Fusco: «Mi sentivo diversa, ora sono serena»
«“Io sono talassemica”: lo dico con orgoglio, adesso, perché moltissimi pregiudizi in passato hanno minato la mia autostima. Rifiutavo me stessa, la mia vita. A scuola alcuni mi prendevano in giro, faticavo a socializzare». Il racconto della trentacinquenne di Lotzorai Denise Fusco
Vivere con la talassemia, tra ricoveri e trasfusioni, non è certo semplice, ne sa qualcosa la trentacinquenne di Lotzorai Denise Fusco.
«Convivo con questa patologia,» spiega l’ogliastrina «praticamente da sempre. Mi venne scoperta al Policlinico di Modena dalla professoressa Massolo: al secondo mese di vita, venni ricoverata per urgenze per febbre molto alta, avevo anche bocca e mani viola. Dopo due mesi di esami e analisi la diagnosi: anemia major (beta talassemia).»
Si consideri che viviamo in un’Isola dove ci sono mille e oltre talassemici, quando in tutta Italia sono 5-6000: insomma, una percentuale altissima.
«“Io sono talassemica”: lo dico con orgoglio, adesso, perché moltissimi pregiudizi in passato hanno minato la mia autostima. Rifiutavo me stessa, la mia vita. A scuola alcuni mi prendevano in giro, faticavo a socializzare. Sono diventata una bambina ansiosa e introversa e temevo profondamente le persone e i contatti visto che ogni nuovo giorno era un inferno. Mi sentivo diversa.»
Denise quindi cresce tra alti e bassi, nell’infanzia e nell’adolescenza il suo rapporto con questa malattia si fa molto difficile: «Non mi curavo, non ne volevo sapere di medicine e altro, mi odiavo e piangevo: io proprio non volevo essere malata, mi faceva sentire in un altro mondo rispetto alle mie coetanee e questo non mi sembrava giusto.»
A seguirla e supportarla è più che altro suo papà: «Mi riempiva di attenzioni, per me ogni volta era una gita. Lo ringrazio tanto! Non è facile affrontare determinate situazioni, ma il coraggio che abbiamo dentro di noi deve sempre spingerci a combattere!»
Ma il calvario che porta all’accettazione di sé è spesso lungo e tortuoso e Denise trascorre moltissimo tempo a non amarsi: «Non mi guardavo nemmeno allo specchio, mi odiavo ed era una sofferenza continua.»
Rischia persino la vita perché, rinnegando la talassemia, non prende le medicine e i valori di ferritina sono spesso così alti da poter risultare pericolosi. «La ferritina alta provoca scompensi cardiaci e diversi problemi, che possono essere mortali» spiega infatti. «È il nostro nemico numero uno.»
«Tanti sono gli amici che abbiamo perso ma che vivono nei nostri ricordi e nelle nostre vite, e che ci danno la forza di combattere. Nella mia sfortuna, sono stata molto fortunata.»
Nel 2000, Denise parte insieme ai suoi genitori a Parigi per cercare la guarigione: «Non avvenne il miracolo, quindi ritornammo in Sardegna e venni poi seguita al Microcitemico di Cagliari.»
Nel 2003, una nuova speranza: nasce sua sorellina, Maria Eleonora, e la speranza riaccende il cuore della trentacinquenne, sebbene per poco: «Era compatibile al 100% come donatrice di midollo, ma mia madre decise che sottoporre una bimba a un intervento così complicato in età così giovane era rischioso, quindi, nella mia testa, le speranze di guarigione erano lontane. Una scelta simile non è mai da giudicare negativamente, sono cose molto complesse da gestire.»
«Ho sofferto, ma sono stata sempre forte» continua la Fusco. «Ho imparato tante cose, se non avessi avuto la talassemia non sarei la donna che sono adesso: mi ha insegnato che nella vita le cose arrivano solo se siamo in grado di superarle. Questo pensiero oggi mi dà forza. Oggi voglio solo eliminare la sofferenza, vivere bene e trovare la mia strada.»
Denise Fusco trova anche la fede, si avvicina alla spiritualità e tutto questo la aiuta anche a superare gli attacchi di panico e i disturbi alimentari. «Il Buddismo mi ha restituito il piacere di vivere: anche se la vita mi ha tolto tanto, io sono qui per dare amore e forse, anche se non sarò mamma, questo è il mio destino.»
Sente dentro sé di avere una missione: «Quella di creare valore: possiamo ancora fare del nostro meglio, in questa vita, per dare un senso alle cose, anche a quelle negative. In fondo al tunnel c’è sempre una luce e io l’ho ritrovata: sono lontani i momenti in cui anche fare le trasfusioni era motivo d’ansia. Ci è voluto del tempo, ma mi sono ripresa, ce l’ho fatta: questa è una grande vittoria.»
Soprattutto, ad angosciarla e intristirla sono gli amici che non ce l’hanno fatta, lei riesce comunque a vederli come angeli custodi.
«Noi con la talassemia veniamo definiti speciali, posso confermarlo: ognuno di noi ha una grande personalità, ma soprattutto una grande forza. La talassemia fa parte di noi,» incita i suoi compagni di sventura e ricoveri «non abbiate paura di raccontarla. Il mio slogan è “I have thalassemy” ossia “io ho la talassemia ” perché per anni ho avuto un po’ di timore nel dirlo, per paura di non essere accettata. Mi rendo anche conto che se ne parla molto poco: alcuni addirittura non sanno nemmeno cosa sia. Mi auguro che tanti possano conoscerla attraverso chi la vive, per essere consapevoli che donare il sangue è fondamentale per noi, per poter vivere.»
Conclude con un grande ringraziamento: «Un grazie ai centri che ci seguono e a tutti i donatori di sangue. Grazie davvero!»
© RIPRODUZIONE RISERVATA