Personaggi di Sardegna. Melchiorre Murenu, “l’Omero sardo dei poveri”
La Sardegna aveva il suo "Omero dei Poveri". Era Melchiorre Murenu, poeta cieco e analfabeta che interpretava i disagi e la crisi di contadini e pastori dopo l'Editto delle Chiudende di Carlo Felice.
Nel 1820 il sovrano sabaudo Carlo Felice, succeduto al fratello Vittorio Emanuele, avvia la formazione della proprietà privata della terra sarda, contro il regime di proprietà comune precedentemente prevalente. Si tratta del noto “Editto delle chiudende”, ufficialmente finalizzato alla promozione della crescita dell’agricoltura e della borghesia agraria moderna.
Di fatto, però, la nascita delle cosiddette “tancas”, campi chiusi da siepi o muretti a secco, portò numerosi conflitti fra contadini e pastori, oltre che favorire numerosi abusi e una proprietà assenteista.
Per molti, dunque, fu profonda crisi nel mondo delle campagne. Come riportato da Giovanni Pirodda in “Sardegna – Letteratura delle regioni, storia e testi”, interprete di questi disagi della realtà isolana è stato Melchiorre Murenu, autore rappresentativo dell’uso vivo del sardo nella produzione letteraria orale.
In particolare, la sua vita è simile a quella del più noto Omero, celeberrimo autore dell’Iliade e dell’Odissea, – se tralasciamo la cosiddetta “questione omerica” circa la sua avvenuta esistenza – in quanto errante poeta nelle sagre paesane. Murenu assimilava diversi elementi della tradizione locale e della cultura alta, attraverso l’oralità.
Murenu interpretava con vena moralistica ironica e grottesca gli umori e i disagi dei ceti più umili che subivano gli effetti dell’Editto delle chiudende, tanto da essere noto come “L’Omero dei poveri”. Sempre secondo il Pirodda, il quale riporta una voce corrente, il poeta morì ucciso dai bosani, i quali lo gettarono da una rupe, forse “punti” da qualcuno dei suoi versi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lo sapevate? Nel 1985 Falcone e Borsellino prepararono l’istruttoria del Maxiprocesso sull’Isola dell’Asinara
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone arrivarono all’Asinara nell’estate del 1985. La Mafia stava già progettando qualcosa nei loro confronti. I due magistrati lavoravano nella foresteria di Cala d’Oliva, ogni tanto riuscivano ad andare in spiaggia.
Lo sapevate? Nell’estate del 1985 Falcone e Borsellino prepararono l’istruttoria del Maxiprocesso sull’Isola dell’Asinara. Erano con le famiglie e pagarono pure il conto.
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone arrivarono all’Asinara nell’estate del 1985. La Mafia stava già progettando qualcosa nei loro confronti.
Falcone, sua moglie Francesca, Borsellino, la moglie e i figli e in 48 ore vennero spediti all’Asinara: in aereo fino ad Alghero, poi a Porto Torres via terra ed infine nell’isola con la motovedetta degli agenti. Per i due magistrati di punta del pool antimafia era difficile continuare a lavorare. Una situazione drammatica. I telefoni funzionavano male e i due magistrati non avevano tutti i documenti necessari per lavorare. Restarono un mese e pagarono il conto: diecimila lire al giorno per stare alla foresteria della Casa Rossa, più i pasti. Non chiesero il rimborso.
I due magistrati lavoravano nella foresteria di Cala d’Oliva, ogni tanto riuscivano ad andare in spiaggia. A portare una ventata di umorismo e spensieratezza un altro magistrato, Giuseppe Ayala, che si presentò insieme al collega Di Lello. Il ricordo di Falcone e Borsellino non è mai stato cancellato dall’Asinara.
Per anni la foto in bianco e nero dei due magistrati sorridenti è rimasta esposta nel corpo di guardia del supercarcere di Fornelli, riaperto proprio dopo le stragi del 1992. E oggi di quella permanenza rimane anche una targa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA