Valentina Loche, 46 anni, oranese, attrice, regista e pedagogista con una laurea in Scienze dell’Educazione, è un’artista poliedrica. E ci tiene a sottolineare che è anche una mamma innamorata dei suoi bambini: la famiglia per lei è un elemento che attraversa in filigrana il suo modo di stare al mondo e di creare.
La sua origine sarda e il legame profondo con Orani – che definisce una culla d’arte, “in custu brossolu” – influenzano ogni scelta artistica e pedagogica che compie, rafforzando l’urgenza di produrre cambiamento in un’isola bellissima ma pur sempre circondata da un mare che, simbolicamente e non solo, richiede di essere superato.
La spinta alla trasformazione abita il suo lavoro teatrale, soprattutto quando affronta temi sociali delicati come la parità di genere e le dipendenze: ne è un esempio “RiscAtto – Teatro per relazioni detox”, spettacolo sulle relazioni tossiche nato dal libro della neuropsichiatra Franca Carboni, capace di suscitare silenzi intensi e sguardi nuovi, soprattutto tra i giovani. Ma anche i progetti apparentemente più piccoli, come quelli rivolti ai bambini, sono per lei strumenti potenti di emancipazione, perché si parte dal basso per diventare adulti liberi.

Arte e pedagogia, nella sua vita, non si sovrappongono ma si contaminano: la pedagogia è per lei un’arte, l’arte del cambiamento, e la scena diventa maieutica allo stato puro. Lo stesso valore trasformativo lo riconosce nella scrittura, che ha usato anche per raccontare la sua gravidanza in un blogdiario capace di generare connessione, consapevolezza e riflessione critica.
Il sardo, la sua “lingua madre e padre”, è un elemento fondamentale della sua identità e della sua poetica: non una scelta nostalgica, ma un atto di conoscenza e modernità, la base su cui si forma l’esistenza e che permette di definire concetti altrimenti intraducibili. La più grande sfida della sua carriera è stata la prima produzione autonoma, “Millimetroemezzo e altri centimetri”, nata quasi per caso da un copione scritto in due giorni e diventata poi uno spettacolo, l’inizio di una professionalità costruita intrecciando teatro, pedagogia e scrittura.
Da lì sono arrivati nuovi percorsi: la regia con la compagnia Cannàsas Teatro di Orgosolo, la nascita del gruppo BulTeatro, laboratori sociali ed educativi e la significativa interpretazione di Donna Vincenza ne “Il giorno del giudizio” diretto da Marco Spiga per Sardegna Teatro, spettacolo in sardo poi approdato anche in tv.
Se dovesse misurare l’impatto del suo lavoro sulla comunità parlerebbe di cambiamento, libertà, senso di comunità, scoperta ed emozioni, elementi che emergono spesso nei suoi cerchi nuragici e che si riflettono nella crescita autonoma dei gruppi teatrali seguiti nel tempo. In un mondo sempre più digitale, immagina il teatro come un presidio di autenticità, uno spazio in cui la tecnologia può essere un alleato ma non potrà mai sostituire la vibrazione empatica del palco; i social, invece, diventano luoghi di narrazione e ampliamento del processo creativo. Se dovesse definire il suo lavoro userebbe concetti come emancipazione e libertà, perché l’arte, dice, la salva davvero: la sofferenza si trasforma in forza creativa e ogni germoglio nato da un suo progetto è una festa.
Guardando al futuro, desidera dedicarsi con più forza all’educazione affettiva e sessuale, temi fondamentali ma ancora poco affrontati, e continuare a esplorare la lingua sarda, le figure chiave della storia della sua terra, la legalità e le dinamiche comunitarie sane. E coltiva un’idea che la diverte e la stimola: scrivere un copione capace di smascherare, con ironia, i piccoli e grandi “mafiosetti” che imbrigliano la società.

Valentina Loche

Valentina Loche, Gavoi
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