«Nella cicatrice? Mi tatuerò una fenice, simbolo di rinascita»: parla Francesco Falqui, che sconfisse la leucemia da bimbo

«Mi chiamo Francesco, ho 30 anni e sono nato due volte, la prima il 10 febbraio del '93 e la seconda quando ho vinto contro la leucemia.» Laureato in Giurisprudenza, oggi il trentenne quartese sta realizzando tutti i suoi sogni
A volte, la vita scombussola i piani. Mette in disordine le tessere del puzzle, ne lancia due qui, sette lì, quattro là. Ma poi – alla fine e dopo sacrifici – dà anche il modo di rimetterle in ordine, incastrate perfettamente per dare un’altra via, un percorso meno ostico, un cammino con meno pietre.
«Mi chiamo Francesco, ho 30 anni e sono nato due volte, la prima il 10 febbraio del ’93 e la seconda quando ho vinto contro la leucemia.»
Inizia così il racconto di Francesco Falqui – di Quartu Sant’Elena –, oggi uomo e ieri piccolo combattente. «Sono stato fortunato, sebbene in tanta sfortuna, perché ero talmente piccolo che la maggior parte di tutto ciò che so è quello che mi hanno raccontato i miei genitori» racconta. «I miei ricordi sono dei flash di cose belle che ho vissuto nel reparto di oncoematologia pediatrica dell’ospedale Microcitemico di Cagliari (le feste, le gite, l’affetto dei medici e degli infermieri).»
Tutto inizia nel 1995: Francesco ha solo due anni e otto mesi quando una diagnosi terribile si abbatte sulle sue spalle di bimbo e su quelle di mamma e papà.
«Di solito ero molto solare, vivace e molto loquace e da alcuni giorni manifestavo molta insofferenza e un continuo raffreddore. Mia madre sospettava fosse lo strascico di un’influenza che avevo appena superato» spiega. «Però, al controllo, la mia pediatra si accorse, dopo una visita accurata, che avevo dei sintomi molto sospetti, riconducibili a qualcosa di più serio e ci ha quindi inviato per il giorno dopo in clinica pediatrica.»
L’equipe del professor Cao visita il bimbo. A fine mattinata è chiaro che ci sia qualcosa che non va a carico del sangue, qualcosa che non quadra.
«Poi il mondo ci è crollato addosso. Nel giro di poche ore, dopo un aspirato midollare e una puntura lombare, è arrivata la diagnosi: leucemia linfoblastica acuta di tipo T, ovvero la più severa fra le linfoblastiche.»
Questo è lo spartiacque: bisogna lottare, unghie e denti, affinché quel brutto male non vinca, affinché il sorriso del piccolo Francesco non si spenga.
«Da quel momento, la nostra vita è stata drasticamente stravolta, sono stato trasferito il giorno dopo al quinto piano in oncoematologia pediatrica che da allora è diventata la mia seconda casa in quanto i controlli in D.H. erano quasi giornalieri e i ricoveri in reparto per terapia e trasfusioni molto frequenti.»
Protocollo? Be’, chemioterapia per due anni e radioterapia. E coraggio, si potrebbe aggiungere, in dosi abbastanza massicce.
«Dal primo momento il dottor Giulio Murgia mi ha spiegato con parole semplici e con una modalità giocosa ciò che stava accadendo» continua Falqui. «Conoscevo alla perfezione i simboli della terapia indicati nel protocollo e ogni giorno sapevo cosa avrei dovuto fare.»
Inizia così la faticosa salita verso la fine della malattia.
«Il percorso della terapia è durato circa due anni, nei quali il dolore fisico e quello morale (soprattutto della mia famiglia) si alternavano alla gioia per i progressi che vivevamo giorno per giorno.»
Vita sconvolta per anni, con il personale del quinto piano dell’Oncoematologia che diventa una seconda famiglia per un bambino a cui viene chiesta la tempra morale di un adulto: «Ricordo infatti le feste, le gite, i giochi con le volontarie dell’ABOS e per fortuna il tempo ha sbiadito i ricordi più brutti e dolorosi e non ho subito effetti collaterali della terapia.»
Ma il lieto fine arriva, e non solo quando c’è di mezzo la Disney.
Francesco Falqui riesce a uscire dal tunnel della leucemia, cresce e ora, adulto, sta raggiungendo tutti i traguardi che desiderava. Con qualche cicatrice? Certo, del resto sono proprio loro che ci rendono quelli che siamo.
Si dice che ogni essere umano sia il risultato di ciò che vive, che vede, che tocca e che sente. Nonostante sia un discorso complesso, si potrebbe dar ragione a questa vecchia massima. Siamo quelli che siamo proprio perché la vita ci tempra, ci insegna le lezioni – e non sempre in modo semplice, ma tant’è.
«Cosa mi resta oggi di questa brutta esperienza?» conclude. «Riconosco di essere ipocondriaco e di avere una forte sensibilità davanti alle malattie anche degli altri, soprattutto dei miei affetti. Fisicamente ho una cicatrice sul petto che mi hanno lasciato i due cateteri venosi, appena posso mi farò tatuare una fenice simbolo di rinascita. Oggi ho 30 anni e dopo aver concluso il mio percorso di studi, laureato in Giurisprudenza, conduco una vita normale, tipica dei ragazzi della mia età. Lavoro come consulente mutui per uno dei più importanti siti di comparazione online in Italia, sto realizzando gran parte degli obiettivi che sognavo.»

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