Autismo, la storia tutta sarda del piccolo Francesco, di mamma Claudia e papà Simone

Francesco soffre di autismo ed è un piccolo combattente, un soldatino che dà il meglio di sé ogni giorno, conquistando autonomie non scontate
Ci sono battaglie che quando si presentano alla propria porta sembrano dure, troppo difficoltose da vincere. Ci si sente sopraffatti, angosciati e persi di fronte a una diagnosi che mai – mai! – si sarebbe voluta sentire per il proprio figlio.
Ma la vecchia massima che l’amore dei genitori per i propri bambini possa spostare le montagne è proprio vera, non c’è nulla da fare. Ah, anche il coraggio e la forza sono determinanti per non soccombere, per svegliarsi ogni mattina con una missione: riuscire, passo dopo passo, ad andare sempre avanti. Per guerreggiare, unghie e denti, per il proprio figlio. E per vincere, collezionando traguardi.
Francesco è un bambino di quasi otto anni, ha degli occhi scuri, profondi e grandi e un sorriso bellissimo. Francesco soffre di autismo ed è un piccolo combattente, un soldatino che dà il meglio di sé ogni giorno, conquistando autonomie non scontate. E, in questo cammino tortuoso ma appassionato e ricco di sorrisi e amore, viene accompagnato dai genitori 35enni cagliaritani, mamma Claudia Fontanarosa e papà Simone Marrocu, e dalla sua sorellina Viola. Uniti più che mai dall’amore profondo che si intravede in ogni istantanea, in ogni frase, in ogni gesto.
Ma facciamo un passo indietro.
«Prima dei 18 mesi Francesco era un bambino come tutti gli altri. Da un giorno all’altro ha iniziato a “cambiare”,» raccontano i genitori. «si chiudeva nella sua cameretta, accendeva e spegneva ripetutamente le luci, non rispondeva alle chiamate, utilizzava i giochi in maniera non più funzionale, ad esempio anziché incastrare le costruzioni una sull’altra le metteva in riga e le divideva per colore.»
Quella che all’inizio era solo una preoccupazione, presto diventa realtà e la parola autismo entra in casa Marrocu-Fontanarosa.
«È stato un insieme di sensazioni: ci siamo sentiti spaventati, tristi, impotenti» dicono, riferendosi all’arrivo della diagnosi. «Quando è stato diagnosticato l’autismo, Francesco era molto piccolo, aveva 22 mesi. Nei bambini così piccoli, almeno nel caso di Francesco, ci sono degli atteggiamenti particolari, ma era comunque molto gestibile e sereno. Ci siamo fatti forza accettando in primis la patologia e cercando di aiutarlo più possibile, affidandoci a professionisti, sicuramente più competenti.»
Le terapiste hanno in questo momento – e anche nei successivi – un compito fondamentale per gestire una situazione che è nuova per Simone e Claudia. E c’è da considerare la piccola Viola, che ha solo 14 mesi più del fratellino.
«Sono cresciuti insieme, hanno frequentato il nido e la scuola materna» spiegano. «Abbiamo cercato di trasmetterle un senso di normalità, coinvolgendola da subito e cercando di sensibilizzarla alla diversità.»
Gestire quindi una situazione particolare, con un’altra bimba molto piccola e un lavoro impegnativo, non dev’essere semplice: Simone e Claudia gestiscono la sede cagliaritana del Centro Studi Petrarca, scuola privata.
«Sì, è molto difficile conciliare tutto» ammettono. «Abbiamo la fortuna di avere ancora dei nonni giovani che ci aiutano tantissimo nella gestione familiare; ma chi non ha questa fortuna, incontra notevoli difficoltà nel gestire le diverse esigenze di lavoro con le realtà quotidiane familiari.»
Poca, si potrebbe affermare, è la conoscenza su questa patologia la cui diagnosi viene fatta circa a 50 bambini ogni anno, nella nostra Isola.
«Chi non la incontra nel proprio cammino è fortunato» continuano. «La nostra vita è piena di preoccupazioni, sacrifici, rinunce.»
«Siamo fermamente convinti che, finché non si raggiunge l’accettazione della patologia, non si riesce ad aiutare il bambino nel migliore dei modi. Bisogna affidarsi totalmente alle figure competenti e seguire i loro consigli» chiarificano, quando si parla di situazioni come la loro.
E, per quanto riguarda il fare di più nel collettivo affinché la vita dei bimbi che soffrono di autismo e dei loro familiari sia più semplice, sono perentori: «Si dovrebbe fare tanto ma purtroppo si fa pochissimo. In primis si dovrebbero dare più sussidi alle famiglie a livello economico: le terapie hanno un costo molto elevato, questi bambini hanno bisogno di essere seguiti costantemente e con continuità per migliorare. Si dovrebbero creare centri ricreativi specializzati, ora pressoché assenti o quantomeno carenti, dove poter portare il bambino quando si hanno impegni di lavoro o quant’altro. Non possono essere assolutamente seguiti da operatrici senza esperienza. La nostra speranza, come genitori di un bambino affetto da autismo, è quella che le famiglie si sentano meno sole: che questi genitori possano pensare a un futuro con la speranza e il sorriso, non con l’angoscia dettata dal fatto che questi bambini, quando un giorno diventeranno adulti, non avranno la possibilità di integrarsi ed essere seguiti. Il pensiero angosciante che accomuna tante famiglie è proprio questo: “Che fine faranno i nostri figli quando non ci saremo più?”.»
Ed è proprio così: molto si può fare. Anzi, molto si DEVE fare. Perché famiglie come quella del piccolo Francesco non si sentano mai in balia della sopraffazione, ma che siano seguite sempre e possano sentire aiuti costanti.
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