L’orfanotrofio abbandonato in riva al mare: a Castelsardo storie ormai sepolte nel silenzio
Un orfanotrofio in riva al mare, dove la sabbia e il maestrale hanno sepolto storie e ricordi.
Frammenti di vita che forse non si riuscirà mai a mettere insieme così come i pezzi dell’edificio di cui vi racconteremo oggi, quello dell’orfanotrofio abbandonato di Lu Bagnu a Castelsardo. Ripercorriamo la sua storia grazie al portale Sardegna Abbandonata.
“Spiagge lunghissime, bassi fondali, facile accessibilità: non stupisce che la frazione di Lu Bagnu sia stato eletto a sede ideale per colonie estive per l’infanzia. A partire dal secondo Dopoguerra, infatti, questo tratto di costa dell’Anglona conobbe un rapido sviluppo diventando un crocevia di Istituti di Carità di mezza Sardegna, presso cui centinaia di bambini trascorrevano l’estate. Stella Maris, Santa Bernardetta, Celestine, Manzelliane, Domus Mariae, Maria Assunta sono solo alcuni dei nomi che caratterizzano questa sorta di capitale vacanziera ecclesiastica in parte ancora attiva.
Ma solo poco prima di questa letterale colonizzazione, Lu Bagnu non esisteva. O quasi. Non era il classico villaggio di pescatori o una postazione militare, ma qualcosa di inaspettato: Lu Bagnu era un orfanotrofio. Alla metà degli anni ’50 infatti gli unici segni di presenza umana erano una strada, alcune sparute casupole e due edifici più grandi: la Casetta San Giuseppe e l’orfanotrofio Sacro Cuore.
Situato subito dietro l’omonima spiaggia, in precedenza nota come Ampurias, questo grosso caseggiato oggi in rovina e di cui sappiamo solo il nome e la funzione racchiude dentro di sé una storia misteriosa: forse non la conosceremo mai, se non rovistando tra i polverosi archivi di qualche biblioteca.
Al suo interno, dalle finestre senza più vetri, la sabbia spazzata dal maestrale ha preso possesso diventando l’elemento principale. Al pianterreno, in un grande salone, si apre uno scenario inquietante e indecifrabile: una statua di un anonimo santo senza testa emerge al centro di decine di oggetti di uso comune all’epoca, inglobati dalla sabbia come un gigantesco fossile.
Risalendo le scale ci imbattiamo in uno spettrale stanzone con letti accatastati e tracce di cera di candela sui comodini, un’immagine ferma apparentemente a un secolo fa che non riesce a trattenere il suo carico disturbante. Una piccola cameretta appartata e oscura, con bambole, giocattoli e altri oggetti vezzosi da bambina, fa venir voglia di fuggire via in preda all’angoscia.
Le risposte che cercavamo non sono state trovate. Difficile, forse impossibile ripercorrere le vite degli orfani ospitati nel Sacro Cuore. Possiamo solo immaginare frammenti di drammi e felicità, di sofferenze ma anche di fugaci spensieratezze estive: indizi parziali e imperfetti come le centinaia di tessere di puzzle sparse per l’edificio, che nessuno ricomporrà più, sommerse da un mare di sabbia e polvere”.
Tutti gli scatti sono di sardegnaabbandonata.it
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