Christian Ferrante, dall’Ogliastra all’Africa per aiutare le comunità più povere: «Mi sento a casa»

Le popolazioni del posto hanno dato il suo nome e i nomi della sua famiglia ai propri bambini. Lì, ha anche un figlioccio, il piccolo Petit Christian
Volontariato e viaggi: Christian Ferrante, 40enne lanuseino, è poco più che un bambino quando inizia a sentire come pilastri della propria vita questi due punti. Detto, fatto: è il 2015 quando per la prima volta parte alla volta dell’Africa, pronto a offrire la sua competenza come soccorritore del 118 italiano, radioamatore e tecnico elettronico. Con lui, anche diverse ambulanze e altro materiale per la costruzione di un piccolo centro sanitario.
Da allora, ne è certo passata di acqua sotto i ponti: Ferrante è partito per sette missioni, sei in Repubblica Democratica del Congo e una in Senegal. L’ultima? Nel 2022.
Ora lì si sente a casa, soprattutto a Kengé – nella provincia di Kwango, a 250 chilometri da Kinshasa – , il suo punto di riferimento.
E ha seminato molto, Christian Ferrante, tanto che le popolazioni del posto hanno dato il suo nome e i nomi della sua famiglia ai bambini che il lanuseino ha amato – e ama – tanto. Lì, ha anche un figlioccio, il piccolo Petit Christian.
Ma facciamo un passo indietro.
«La crisi mi aveva portato a cercare altro, volevo dare una svolta» spiega, parlando delle origini del suo progetto umanitario. «Ogni missione mi ha lasciato tanto, soprattutto a livello umano» spiega. «Vedere persone che non hanno niente e vivono con il sorriso, mentre noi non ci accontentiamo mai, è stato fondamentale per comprendere l’importanza delle cose, quelle vere. Ho approfondito le lingue, poi: parlo francese e inglese.»
Ma non solo: Ferrante ama sentire le storie di ogni singolo villaggio, facendo parte a 360 gradi delle comunità che lo accolgono ogni volta come uno di famiglia: «Leggende, tradizioni, ma anche genocidi e lotte allo sfruttamento delle risorse: ho potuto quindi immergermi appieno in queste meravigliose culture, capire a fondo.»
E, nonostante – come afferma – i primissimi periodi fosse stato difficile convivere con quella povertà e con un mondo totalmente differente rispetto a quello che era stato lasciato indietro, non ha faticato ad ambientarsi: «Erano persone diverse nelle tradizioni, nella vita quotidiana, nelle attività, nel rapporto tra vita e morte visto in maniera particolare» spiega. «In più avevo un compito importante, tra ambulanze e materiale sanitario.»
Ma, piano piano, si innamora di quella vita, dell’aiuto che si può dare, ricevendo delle lezioni importanti – noi, così presi dalla frenesia della vita quotidiana non sempre sentiamo le sfumature della felicità reale, non legata ai confort ma alle ricchezze umane, di sentimenti ed emozioni.
«“Volontario”: in due parole non si riesce a spiegare e a definire cosa sia. Posso solo dire che riceviamo molto, non ci servono medaglie o rinascimenti materiale, ma sorrisi, accoglienza all’interno di una popolazione nuova. All’inizio, pensano che tu, essendo bianco, arriverai e porterai solo qualche aiuto economico, ma è una grande gioia quando invece comprendono quanto sia importante lavorare a progetti a lungo termine e si dedicano ad essi, insieme a te, anima e cuore.»
E cosa ci vuole per riuscire a seminare tutto questo bene, tutte queste radici?
«Mettersi in gioco nella vita, sempre, anche sbagliando ma rialzandosi più volte, essere perseveranti ed essere umili. Serve anche spirito di adattamento a tutto e sempre occhi aperti, ci vogliono anni per avere e dare fiducia. Viaggiare in lungo e in largo e stare a contatto con le persone. Le missioni aiutano a vedere le cose che diamo scontate e che dimentichiamo, ti completa.»
Ferrante lì ha una seconda casa e una seconda famiglia: «Una festa al mio arrivo, un pianto quando si riparte. A volte, sembra che siamo noi ad avere bisogno di aiuto, non loro.»
Oggi, grazie al contributo tra Ferrante – che è diventato sovrintendente con alcuni amici di fiducia – e altre personalità – tra cui la vedova La Conca e il fratello di Don Floribert –, il centro sanitario Centre de Santé Franco La Conca è cresciuto esponenzialmente: «Oggi è un centro nascita importante fra i villaggi e dotato di chirurgia di primo soccorso. Sono serviti anni di lavoro e il personale è stato formato sul posto.»
E, riguardo il gemellaggio tra l’Ogliastra e il Congo, Ferrante dice: «Magari di gemellaggi ce ne fossero di più, ma da parte nostra molte volte manca la continuità mentre loro crescono ogni giorno. Per noi sono cose scontate, a volte, ma loro sono in continua crescita in tutti i campi.»
E, su come sia ora la vita lì, Ferrante conclude con una descrizione che pare quasi amena: «La vita prosegue come in un semplice villaggio. La cosa più bella è, quando sei lontano, sentire le persone per telefono: si riuniscono perché tutti ti vogliono sentire e vogliono sempre novità.»
Intanto, si lavora sodo per un progetto da ultimare prima possibile: un orfanotrofio con annessa scuola. E si spera di vederlo concluso nel più breve tempo possibile.

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