In Sardegna esiste una ziqqurat come in Mesopotamia: è l’unica nel Mediterraneo
Nella nostra regione esiste una "Ziqqurat", proprio come nell'antica Mesopotamia, nonostante non vi siano tracce di collegamenti tra le popolazioni isolane dell'epoca e coloro che costruirono queste strutture in Medio Oriente.
Che la Sardegna sia una terra che racchiude centinaia di tesori tra i più antichi del mondo è ormai assodato. Ma forse in pochi (anche nell’Isola) sanno che proprio nella nostra bellissima regione esiste una “Ziqqurat”, proprio come nell’antica Mesopotamia, nonostante non vi siano tracce di collegamenti tra le popolazioni isolane dell’epoca e coloro che costruirono queste strutture in Medio Oriente.
Lo “ziqqurat sardo” si trova esattamente a Monte d’Accoddi, una piana situata a 11 km da Sassari, lungo la vecchia Carlo Felice in direzione Porto Torres. Si tratta precisamente di un altare di epoca prenuragica a forma tronco-piramidale che veniva usato per il culto della fertilità della Terra e della rigenerazione. Ma da chi fu costruito? La leggenda narra di un principe mesopotamico che fuggì e si rifugiò in Sardegna e fece erigere un complesso megalitico adibito al culto; con la differenza che, mentre le ziqqurat mediorientali erano “templi del sole”, il principe lo dedicò alla luna.
Nella realtà, invece, gli storici convergono sul fatto che l’altare di Monte d’Accoddi sia stato costruito intorno al 2.700 a.C. dalle genti della cosiddetta “cultura di Abealzu-Filigosa”. La costruzione prese il posto di un’altra precedentemente eretta nel 3500 a.C. dalle genti della “cultura di Ozieri”, che però venne distrutta da un incendio. Attorno allo “ziqqurat” ci sono i resti di un villaggio costituito da capanne quadrangolari, delle pietre sacrificali e due reperti a forma sferica che, secondo gli studiosi, rappresentavano agli occhi degli antichi abitanti della zona il sole e la luna.
La terrazza in cima alla “ziqqurat” era, secondo le credenze dell’epoca, il punto di contatto tra uomo e divinità. Si ritiene anche che all’interno vi sia una stanza che avrebbe ospitato il letto del sacerdote che si accoppiava ogni anno con una vergine per compiere il rito della “fertilità della Terra”. Questa è solo un’ipotesi, perché nessuno mai è riuscito a scavare per via del reale pericolo di crolli. Dal ritrovamento di alcune lastre in pietra con sette fori attorno, gli studiosi ritengono siano potute servire per legare con catene le vittime dei sacrifici che, con ogni probabilità, erano dei bovini. Ad avvallare questa tesi, il ritrovamento di fossili con resti di pasti sacri e strumenti utilizzati nei riti propiziatori.
Lo “ziqqurat sardo” fu abbandonato all’inizio dell’età del Bronzo antico (1800 a.C.) ma venne riutilizzato solo saltuariamente per le sepolture. Durante la Seconda Guerra Mondiale, attorno ad esso vennero scavate delle trincee utilizzate dalla contraerea, arrecando un danno irreparabile al sito. L’altare fu scoperto quasi per caso nel 1954 da Ercole Contu, quando gli archeologi notarono un ammasso di terra anomalo che formava una collinetta in una zona altrimenti del tutto pianeggiante. Di lì, gli scavi che portarono alla luce questo tesoro unico, per struttura architettonica, non solo in Europa, ma in tutto il bacino del Mediterraneo.
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