«La vita dopo due aneurismi cerebrali»: la 33enne Melania Olianas e il suo percorso verso la normalità

È il 2007 quando Melania Olianas, 17enne ogliastrina, si sente male: non sa ancora che quello sarà un lunghissimo percorso verso la salvezza. Sì, perché la ragazzina ha avuto un aneurisma
«La pallavolo era la mia vita, giocavo come “opposta” nella serie D dell’Orgosolo. Ero una studentessa 17enne e, prima dell’avvenimento che cambiò la mia vita, studiavo al Liceo Scientifico di Lanusei.»
Ecco come Melania Olianas, 33enne villanovese, ora OSS al Santissima Trinità di Cagliari, inizia il suo racconto.
È il 2007 – il 21 aprile, precisamente –, infatti, quando un aneurisma cerebrale si abbatte su di lei.
«Era l’ultima partita di campionato, ricordo che fu una giornata stupenda fatta di festeggiamenti e saluti. La promessa era di rivederci tutte a settembre per la preparazione atletica.»
Dopo essere stata a festeggiare, con due amiche, anche la squadra di calcio paesana, Melania torna a casa. A farle compagnia, come accade da un po’, un fortissimo male alla testa. Lei non se ne cruccia: ha da poco fatto una visita e il responso è stato “sinusite”. Si sdraia un pochino sul divano, poi si rialza: sua nonna è ricoverata in ospedale, e la mamma è lì per farle visita. Lei e il papà devono andare a prenderla.
«Mi sono avvicinata a mio padre per chiedergli se quindi dovessimo andare a Lanusei. Con il senno di poi, fu lui il mio angelo. “Perché stai parlando così?” mi chiese, rendendosi subito conto che qualcosa non andasse. “Andiamo subito al Pronto Soccorso” aggiunse e, sebbene io non capissi cosa voleva dire, salii in auto.»
Nel lungo tragitto tra Villanova e Lanusei, il padre la tempesta di domande. Le chiede come stia, se si senta strana. Lei ha dei sintomi ma appaiono come lievi. L’uomo però – saggezza paterna, forse – sa che qualcosa non va.
«Arrivammo finalmente al Pronto Soccorso di Lanusei, mi avviai con le mie gambe: tutti i sintomi precedenti erano spariti. Il personale mi rilevò i parametri ma erano nella norma. Non presero seriamente la cosa, sino a quando mio padre si vide costretto a intervenire in modo brusco facendo loro notare come stessi parlando fino a poco tempo prima.»
Nel frattempo, li raggiunge anche la mamma di Melania. Lei vede nei volti dei suoi genitori la preoccupazione, ma non capisce appieno. Si sente, tutto sommato, bene. È giovane, nel pieno della sua vita: perché qualcosa dovrebbe andare storto? Ma, mentre si aspetta per fare la TAC, i sintomi veri e propri iniziano a tormentare la 17enne: «Sentivo scosse elettriche e dolori atroci, urlavo mentre mia madre cercava di calmarmi.»
Dalla TAC, emerge che la parte sinistra del corpo dell’atleta è bloccata: a fare tutto quel danno, un’emorragia da aneurisma dovuto a una MAV – malformazione artero-venosa.
«Da lì, i miei ricordi sono offuscati: arrivarono parenti e amici mentre io venni caricata sull’ambulanza, destinazione Sassari, Santissima Annunziata.»
La ragazza viene rasata in testa per essere preparata all’intervento ma ancora non comprende la gravità: al fratellino di undici anni dice che si vedranno dopo, che sta bene, che non è accaduto niente di grave. Solo dopo – ahimè – si accorgerà bene dell’impatto che l’aneurisma ha avuto sul suo corpo. Intanto, ai genitori di Melania viene detto che la ragazza deve affrontare un intervento molto importante e che non si è certi che sopravviva, o che non abbia danni cerebrali e motori gravi.
L’intervento dura otto lunghe ore, poi Melania venne messa in coma farmacologico per tre giorni. Ad aiutare i genitori con alloggio e quant’altro, zii, zie, cugini e cugine e amici di famiglia.
«Dopo i tre giorni, mi svegliai: sembrava trascorsa un’ora. Chiesi subito perché non potessi muovere braccio e mano e poco la gamba. Mi piaceva anche la mia cicatrice. Ero ancora bambina: pensavo che con un po’ di pallavolo tutto sarebbe tornato normale, ma mi sbagliavo.»
La ragazza sta a Sassari due lunghi mesi durante i quali ancora non comprende appieno la fortuna di essere viva e la gravità dell’aneurisma. È la più piccola del reparto, viene coccolata e accudita da tutto il personale sanitario. «Eravamo diventati una famiglia. Non volevo vedere nessuno piangere. Tutti erano avvisati, niente lacrime. Io intanto ricordo che mi stancassi velocemente, capitava che mi addormentassi di punto in bianco. In quei due mesi ridevo tantissimo, mi divertivo, sì, su un letto di ospedale, ma mi divertivo grazia e tutte le persone che mi stettero vicine senza lasciarmi un secondo.»
Trascorsi questi due mesi, Melania parte, rotta Santa Maria Bambina a Oristano per la riabilitazione.
«Il fisiatra mi disse: “Tu tornerai a camminare”, e anche se io in quel momento non ci riuscivo, mi fidai: ero allo stesso tempo contenta e diffidente.»
Melania prende la mononucleosi e si muove in sedia a rotelle, ma più che altro si rende conto di quanto sia lungo il percorso per tornare “quella di prima”. «Mia mamma era accanto a me notte e giorno, il nostro legame è diventato molto più intensi. Mi dissi da sola che in sedia a rotelle ci sarei stata meno possibile… e così fu.»
L’allora ragazzina inizia quindi il programma di fisioterapia. Piscina, esercizi per l’equilibrio ma non solo: viene scelta come cavia per un robot che viene testato per camminare.
«Dopo una settimana, mi sono alzata. Non ascoltai chi mi diceva di usare la stampella: io mi muovevo da sola, appoggiandomi al muro. Ecco, lì mi accorsi che avrei dovuto reimparare a camminare. Fu faticoso: dovevo pensare ai passi mentalmente e cercare di applicarli fu difficilissimo e stancante. Dovevo passare ore e ore a provare e riprovare a fare i passi, salire e scendere le scale perché il ginocchio mi cedeva sempre. Per mesi dovetti infatti usare un tutore. Ben presto divenni autonoma con la stampella. Ma la mano invece migliorava con grande lentezza.»
Melania Olianas compie 18 anni proprio mentre cerca di rimettere al proprio posto i pezzi della sua esistenza. A darle forza, l’affetto della famiglia che, nella casa dove abitava con i genitori a Oristano, le organizza una festicciola a cui partecipa anche il suo allenatore di pallavolo. La cugina Katia le regala, per l’occasione, anche un album del suo percorso.
Melania trascorre a Oristano sei mesi. «Mio padre non amava guardare la mia cicatrice, lo faceva soffrire, io invece la amavo: lui mi regalò un cappello, ma lo usavo solo quando veniva a trovarmi.
Con il passare dei giorni, la 18enne migliora. «A fine agosto mi dovevano dimettere, ma per la mano non c’erano tantissime speranze.»
Al rientro in paese, la ragazza di tornare a scuola non ne voleva nemmeno parlare. Si cerca un fisioterapista che la segua a 360 gradi, ma quando subentrano anche le crisi epilettiche – dovute all’intervento – la famiglia rischia di nuovo di precipitare nello sconforto.
«Mio fratellino, sebbene avesse solo undici anni, era un ometto: mi aiutava in tutto, anche a vestirmi, e soffriva tanto quando avevo le crisi epilettiche, che nel primo anno erano molto frequenti. Mi tennero su le mie amiche, Marta, Ilenia e Beatrice.»
Torna a scuola verso novembre, non prima di essere stata definita “un miracolo” dall’equipe che l’aveva seguita a Sassari. Zoppica, muove poco la mano e ovviamente non può fare sport: questo le dà un gran dolore, lei che di sport viveva. È comunque molto ottimista. «Mi dicevo: sono viva e autonoma, pazienza se non posso fare qualcosa.»
Dopo il diploma, Melania si trasferisce in un appartamento condiviso con altri coinquilini a Cagliari per studiare Farmacia. La mamma è ansiosa, il babbo incoraggiante, ma la ragazza ha già dimostrato una tempra di ferro. Nel frattempo, si fa seguire anche qui da un fisioterapista: lei non è una che si arrende e vuole – deve! – riprendere controllo della mano. Su consiglio dello specialista, strizza stracci e fa pulizie, così da “risvegliare” la funzionalità motoria “addormentata” e ciò funziona: «Ripresi a usarla, per me fu un traguardo.»
Ma è proprio ora che inizia il secondo, grosso intoppo: il 21 dicembre del 2010 una crisi epilettica diversa dalle altre spaventa tutti e dalla TAC, fatta al Brotzu, viene fuori una notizia agghiacciante. Un secondo aneurisma si è appena abbattuto sul cervello dell’ormai universitaria.
«Questa volta la presi malissimo,» racconta «del resto ero più consapevole. Mi arrabbiai, piansi per la prima volta. Poi cercai di darmi un contegno, ma lo feci per i miei genitori: non avrebbero retto di fronte alla mia tristezza.»
Melania Olianas però non può essere rioperata, quindi viene tenuta ricoverata per due settimane.
«In pratica durante il primo intervento venne dimenticato un capillare che negli anni era cresciuto, collegandosi ad un’arteria. Da Cagliari andai al San Raffaele a Milano, l’unico all’epoca attrezzato per casi come il mio.»
Lì, Melania intraprende un percorso della Gamma Knife che dura cinque anni e, attraverso dei raggi, brucia o secca i capillari. «Furono cinque anni di vai e vieni da e per Milano. Ovviamente, mi ritirai dall’Università e feci il corso di OSS, venendo assunta subito a tempo indeterminato in una struttura: scelsi il lavoro allo studio.»
Sino al 2015 vive come in un limbo: ha una bomba a orologeria in testa, e lei lo sa.
«Mi capitava di pensarci, ma subito provavo a distrarmi con pensieri belli.»
Nel frattempo, nel, 2012 incontra anche quello che è il suo attuale compagno, Massimiliano: «Una persona meravigliosa che mi sopporta e mi supporta in tutto, è subito diventato uno dei punti cardini della mia vita, con lui con cui desidero una famiglia.»
Adesso, Melania ha recuperato tantissimo.
«Non potrò giocare a pallavolo, correre o indossare dei tacchi alti, i miei danni motori e l’epilessia ci sono e ci saranno per sempre: da una paralisi non si può mai tornare al 100%. Zoppico, la mano ha ancora qualche deficit, ma sono viva e posso vivere una vita normale. Ecco, io sono questo: una persona che nei problemi vede sempre un lato positivo, che cerca sempre una soluzione e che fa sempre di testa sua!»
Il suo carattere forte la aiuta a non cadere: quel prenderla come un gioco, all’inizio, forse fu inconsapevolezza ma la aiuta a non farsi prendere dall’ansia e a credere fortemente di poter tornare come prima.
«Ho pensato di dovermi riprendere la mia vita, sebbene modificata. E ci sono riuscita grazie a mio padre, il mio angelo, a mia madre, la mia ancora, a mio fratello, la mia forza, ai cugini, alle cugine e agli amici tutti, i miei sostegni… E ora finalmente potrò prendere pure la patente, un altro traguardo tanto sperato. Puntiamo a un lavoro fisso, a una famiglia e chissà, forse a una laurea! Ecco, la mia nuova vita mi ha portato a conoscere il mio attuale compagno, a fare il lavoro che faccio e che amo… cose che forse non sarebbero mai successe con la vita precedente. Io ad oggi racconto sempre quello che ho avuto, non ho mai nascosto il mio percorso. Anzi, quando avevo i capelli corti mostravo con orgoglio la mia cicatrice. C’è troppa ignoranza sull’aneurisma cerebrale C’è e ci sarà sempre: bisognerebbe fare più prevenzione e informazione. Io mi sono salvata per miracolo ma molti non riconoscono i sintomi, si addormentano e non si svegliano più.»

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