La vita dopo due trapianti di rene: l’ogliastrino Bruno Piras racconta il suo calvario
Dai primi malesseri alle dialisi, fino al primo trapianto nel 1993 e al secondo nel 2004: l’ormai 61enne Bruno Piras racconta il suo percorso, tra ricoveri e speranze.
La vita dopo due trapianti di rene: l’ogliastrino Bruno Piras racconta il suo calvario.
Dai primi malesseri alle dialisi, fino al primo trapianto nel 1993 e al secondo nel 2004: l’ormai 61enne Bruno Piras racconta il suo percorso, tra ricoveri e speranze.
«Ricevere un trapianto vuol dire entrare in una nuova vita, una vita libera, ed è una sensazione bellissima. Ti senti miracolato. Conoscevo i parenti della signora che mi aveva ridato la vita e avevamo tra noi un bellissimo rapporto: si entra, dopo un trapianto, in una sorta di adorazione della persona che ti ha – suo malgrado – donato una parte di sé.»
«Eravamo giovani e spensierati, di certo non si pensava alle malattie. Tanto più, io e quella che sarebbe diventata mia moglie avevamo altri progetti nella vita: purtroppo ci siamo ritrovati entrambi a combattere e sostenerci nella malattia. Conoscevamo solo l’influenza. Per noi? Importante era il motorino, divertirci, lavorare e sposarsi.»
Il lanuseino 61enne Bruno Piras è il paziente nefropatico più anziano ogliastrino, nonché trapiantato non una, ma due volte. Sempre in prima linea per la sanità ogliastrina, Piras racconta il suo percorso, ricco di ostacoli.
È il 1979 quando l’allora non maggiorenne Bruno viene assunto all’Intermare come tubista. Contentissimo del suo traguardo, va a lavorare con un entusiasmo fuori dal comune. «Voleva dire entrare nel mondo del lavoro con uno stipendio fisso, questo era incredibile. Amavo il mio impiego.»
Gioisce quando gli viene proposto un posto nella costruzione di una piattaforma, ma è qui che iniziano le difficoltà. «Stavo montando una passerella nella testata della piattaforma, si era a ottobre del ’79, c’erano i primi freddi» racconta. «Fu allora che ebbi una tonsillite abbastanza importante. Il mio lavoro – non c’era nulla che tenesse – veniva prima di qualunque cosa: non potevo mancare. Tirai quindi tutta la settimana.»
Ma Bruno si sente strano. È gonfio. Lo nota da solo, soprattutto quando toglie i jeans, ma numerose persone accanto a lui gli sottolineano l’esattezza della sua sensazione.
«“Sembri un pugile” mi disse un amico, riferendosi al gonfiore del mio viso. Non ci diedi peso. Pensai che la posizione scomoda nella quale lavoravo lo causasse, tutto qui. Ma la situazione peggiorò.»
È quando sta molto male al lavoro, rischiando di accasciarsi, che il capo lo fa immediatamente scendere dal ponteggio con la promessa di recarsi dal medico. Bruno accetta, sebbene a malincuore.
«Dopo una visita velocissima, venni mandato a fare le analisi.»
Quel che non va inizia a venire fuori. Bruno Piras, all’epoca poco più che ragazzino, sta andando in insufficienza renale cronica: è urgente che vada all’ospedale.
«Io non avevo idea di cosa accadesse. Ero giovane e ignorante. Mi dicevano, mentre ero ricoverato: “Attento che potresti finire nel rene artificiale” ma io non mi preoccupavo molto. Mi dissero che avevo una malattia renale non in via di guarigione, ma non capivo allora, esattamente, cosa potesse causare.»
Quando viene dimesso, continua con la sua vita fino a che il malessere torna, prepotente, così forte da costringerlo a un’ulteriore tappa al nosocomio ogliastrino.
«Avevo nausea, episodi di vomito. Mi spaventai.»
Dopo i primi esami, appare chiara una cosa: la malattia è andata avanti. Anzi, è andata molto avanti, per essere precisi. Bruno Piras rischia la morte.
«Venni mandato all’ospedale Molinette. Facevo la spola tra Torino e l’ospedale Santissima Trinità di Cagliari.»
Bruno ha una Glomerulonefrite del tipo Schoenlein Henoch, una malattia renale che non dà molte possibilità di sopravvivenza.
«Mi dissero che il mio filtrato non andava bene, i reni si stavano fermando, quindi mi aspettava la dialisi. Si era, a quel punto, all’inizio degli anni Ottanta. Mi presero con le pinze.»
Quando torna in Sardegna, però, la situazione sembra assurda: mancano i centri dialisi, quelli che ci sono risultano pieni. È proprio in questo momento che in Piras nasce un sentimento forte, di rabbia, che sopravvive ancor oggi. Capisce che la sanità in Ogliastra – e nell’Isola tutta – ha bisogno di uno scossone. Di persone coraggiose, che vogliano combattere.
«Per colpa di questa cosa, saltò l’occasione di continuare a fare la dialisi peritoneale, che pure mi dava tanti benefici. Allora venni mandato a Carbonia, dove si era liberato un posto in un centro dialisi.»
Dopo Carbonia, c’è Nuoro, ma Piras non smette mai di lottare: un centro dialisi serve anche a Lanusei.
«Nel 1984/85 io e gli altri ce la facemmo: venne aperto un centro dialisi anche nella cittadina ogliastrina. Era un gran traguardo.»
In quegli anni, si inizia anche a parlare di trapianto e, dopo dodici anni di dialisi, nel 1993 – il 30 settembre –, Bruno Piras riceve un rene nuovo da una signora che era morta per un ictus. «Andò benissimo: entrare in una nuova vita, una vita libera, è una sensazione bellissima. Ti senti miracolato. Non dovevo più fare dialisi e non avevo quasi nessuna limitazione nella mia vita quotidiana. Conoscevo i parenti della signora che mi aveva ridato la vita e avevamo tra noi un bellissimo rapporto: si entra, dopo un trapianto, in una sorta di adorazione della persona che ti ha – suo malgrado – donato una parte di sé.»
Ma dopo dieci anni arriva un’altra batosta: «I medicinali antirigetto, a quel tempo molto forti, avevano attaccato il rene trapiantato che stava iniziando a spegnersi.»
Ed ecco per Piras iniziare di nuovo le tribolazioni, le dialisi, l’attesa di un altro trapianto. Tutto questo, ci tiene a sottolineare, sempre lavorando: «Non sarei mai mancato, amavo lavorare, non ho mai accettato nessun tipo di assistenzialismo. Certo che fare le dialisi così frequentemente mi metteva di fronte a delle difficoltà.»
Nel 2004, arriva anche il secondo trapianto: «Non ho mai saputo chi fosse il mio donatore. Dopo un mese molto difficile a causa di un problema sopraggiunto, andò tutto bene.»
Ora? Sono diciotto anni ormai che il nuovo rene permette a Bruno una vita normale. Dal 2017 si gode anche, dopo tantissimi anni di sforzi e di impegno, la pensione. «Ho una vita bellissima» dice, con entusiasmo, lui che di coraggio e forza ne ha dimostrati a iosa nel corso del tempo. «Non mi sono mai arreso. Adesso continuo a combattere affinché la sanità ogliastrina non venga messa nel dimenticatoio.»
E chiude con un consiglio ai giovani.
«Non sottovalutate l’importanza di fare gli screening che vengono proposti dalla ASL. Ogni tanto fermatevi dalle cose quotidiane e fate gli esami. Spesso, questo può salvare la vita.»
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