«Insieme si fa la differenza»: ieri l’evento “Sorella, io ti credo” per sensibilizzare sulla violenza di genere

Un dibattito/convegno/momento di riflessione per tutta la comunità che ha attirato ieri nell’aula consiliare un ottimo numero di donne e un buon – sebbene ancora insufficiente – numero di uomini.
“Le parole sono finestre, oppure muri”: con questa frase significativa di un libro di Marshall Rosenberg, ripetuta da Loredana Rosa – Presidente dell’Associazione Voltalacarta e organizzatrice dell’evento di ieri sera –, si può riassumere il senso di “Sorella, io ti credo” dibattito/convegno/momento di riflessione per tutta la comunità che ha attirato nell’aula consiliare di Lanuesei un ottimo numero di donne e un buon – sebbene ancora insufficiente – numero di uomini.
Sì, perché come è stato più volte ribadito, le parole sono come macigni. Valgono, valgono eccome. Fanno male. Distruggono. Rovinano.
Mentre nel mondo si celebrava la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nel comune di Lanusei, in aula consiliare, sono stati tanti gli interventi che hanno dimostrato che certo, si potrebbe fare di più, ma che si è nella direzione giusta. Tema della serata è stata la vittimizzazione secondaria, quella che porta alla colpevolizzazione della vittima privandola – per la seconda volta dopo la violenza – di dignità.
Un video collage proiettato all’inizio ha mostrato l’adesione di decine e decine di persone che, mandando un selfie con sulla mano scritto il messaggio “Sorella, io ti credo”, hanno mostrato di avere a cuore la eradicazione completa di un modello patriarcale che sopravvive, nonostante sia il 2022, insieme a stereotipi e disuguaglianze. “Sorella, io ti credo” del resto nasce da una lettera che delle suore carmelitane scrissero per difendere una ragazzina stuprata da un gruppo di ragazzi in Spagna: loro erano suore di clausura, hanno scritto, ma il vivere recluse era stata una loro scelta e rivendicavano pertanto il diritto delle donne di essere libere. Subito dopo, alcune alunne e un alunno del Liceo Leonardo Da Vinci, tutti e tutte con la maglia rossa sgargiante, hanno buttato a terra fogli con delle scritte scarlatte: erano i 104 nomi delle donne morte quest’anno per mano di un uomo.
«Questa serata» ha detto la Presidente dell’associazione che dal 2016 si occupa di sensibilizzare il mondo al tema «è particolarmente emozionante, perché è dedicata a Paola Piras, sopravvissuta a un tentativo di femminicidio, e a Mirko Farci, suo figlio morto per difenderla dalla furia di un uomo violento.»
«Deve essere la battaglia di tutti,» ha spiegato il Sindaco Davide Burchi nei saluti alla comunità presente «ma sarà meno gravoso combattere insieme. E poi, non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il proprio nome» ha aggiunto, ricollegandosi alla battaglia per declinare i mestieri importanti al femminile. Esatto, perché ancora qualcuno storce il naso quando si dice sindaca, architetta, avvocata, sebbene la lingua italiana consenta le declinazioni al femminile.
«Questa triste ricorrenza» ha poi aggiunto, chiamato anch’esso a intervenire sul tema, il Consigliere Regionale Salvatore Corrias, rivolgendosi ai liceali, parte attiva dell’evento «ricorda che questi nomi non li vorremo mai più calpestare. Non dovete essere lasciati soli,» ha continuato, vedendo la caparbietà dei ragazzi «noi dobbiamo essere con voi. Non basta illuminare i monumenti di rosso. Insieme si fa la differenza, da soli l’indifferenza.»
Incredibilmente toccante è stato il momento in cui Paola Piras, la mamma del giovane Mirko morto per mano violenta un anno fa, ha dapprima fatto leggere alla Rosa una lettera, per poi collegarsi via Skype.
«Parlarne e confrontarsi può fare in modo che questo fenomeno, così diffuso, cessi di essere considerato normale, dato che è tutt’altro. È un problema culturale, per questo è importante la sensibilizzazione nelle scuole. Vorrei che tutti mandassimo un pensiero speciale al mio Mirko, che è stato ucciso nel tentativo di proteggermi da un uomo violento che andava fermato prima. Basta con questo orrore, è devastante» ha concluso.
A ribadire quanto questo anno, il 2022, sia adatto a parlare di vittimizzazione secondaria, è stata Gemma Demuro, avvocata del centro anti violenza per l’Unione dei Comuni dell’Ogliastra: «Si dice che sia una conseguenza degli atti violenti» ha chiarito l’esperta «ma a me sembra solo un’ulteriore forma di violenza per tutte le donne che varcano le soglie di un Tribunale per avere giustizia.»
Scegliendo una sentenza dell’anno scorso e mostrandone i punti chiave, ha chiarito quanto spesso ancora si verifichino fatti aberranti nei confronti delle vittime, costrette a vedere la propria dignità, già a pezzi a causa della violenza, rubata nuovamente, strappata con odio proprio da chi avrebbe dovuto tutelarle.
È stata poi la volta di Antonella Loi, giornalista di Tiscali e appartenente alla rete Giulia Giornaliste (GIornaliste Unite LIbere Autonome), che ha spiegato l’importanza, in ambito giornalistico, di una formazione che si basi proprio sulla corretta rappresentazione della donna vittima di violenza sui media. «Il linguaggio è importante per una corretta rappresentazione della realtà ed è necessario che ogni redazione si formi» ha continuato chiamando in causa anche il Manifesto di Venezia, redatto nel 2017 proprio per i giornalisti e le giornaliste che vogliono cambiare il proprio modo di scrivere, per perseguire l’uguaglianza e lasciare da parte il sensazionalismo e la corsa alle visualizzazioni.
Presenti come relatrici anche Veronica Comida e Sara Monni, rappresentanti delle Bruxas ogliastrinas, che hanno illustrato la nascita di questo gruppo così forte, coeso e che si batte con unghie e denti per difendere la figura della donna in ogni modo.
«Siamo un collettivo di circa 50 donne, tutte diverse ma accomunate da un obiettivo: poter fare la differenza con l’unione» hanno chiarito. «Dopo la morte di Mirko e il tentato femminicidio di Paola ci è nata in petto una forte rabbia, per questo abbiamo deciso di costituire questo gruppo. Quel che ci muove è la consapevolezza che tutte noi viviamo all’interno della stessa campana di paura.» Toccante anche l’intervento di Stefania, sorella di Paola Piras, che ha manifestato il suo dolore per la vicenda e ha ringraziato per l’iniziativa.
Gli interventi dei relatori sono stati intervallati da alcune letture dei liceali che hanno riportato alcuni stralci anonimi raccolti nelle scuole ogliastrine. Storie di soprusi, di maltrattamenti, di fischi per strada e violenza: a rendere ancor più toccante il tutto, il fatto che tutto questo avvenga in Ogliastra. Ecco, quelle ragazze potrebbero essere le nostre figlie, le nostre nipoti, figliocce, figlie di amiche ed è stato raccapricciante scoprire che tante di loro si trovano in situazioni pericolose e di forte disagio.
«Il problema è degli uomini» ha detto Loredana. «Deve cambiare proprio il sistema.»
E, in un mondo dove le donne devono sempre e per forza guadagnare meno dei colleghi uomini con le stesse competenze, dove “dammi il telefono che te lo controllo” è normale, dove “se l’è cercata perché aveva la minigonna” viene ancora detto, dove “eh, in giro così tardi, cosa si aspettava?” è la norma, appare chiaro che il lavoro da fare è tanto, tantissimo. Siamo sulla buona strada? Sì, ma, per riprendere nuovamente una frase dell’onorevole Corrias: «Insieme si fa la differenza, da soli si fa l’indifferenza.»
E allora… mai più soli.

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