I fautori della teoria del nuraghe-tempio sostengono che all’interno dei grandi edifici a forma troncoconica si svolgevano i riti religiosi. Oracolo, incubazione, sì, ma anche altri… Quelli relativi alla nascita, alla pubertà, ai matrimoni o allo scongiuro di malattie o pestilenze.

Una pratica comune pare fosse quella dell’uccisione degli anziani – del resto, attestata in tutte le zone della Sardegna e in tutti i popoli primitivi – mediante metodi brutali. Mica una morte leggera, quella che veniva riservata loro: picchiati selvaggiamente con dei bastoni, venivano poi spinti nei dirupi.

La spiegazione c’è ed è anche logica: nelle tribù (che lottavano costantemente per la sopravvivenza) non si poteva pensare anche a chi, per età avanzata o malattia, non fosse più in grado di badare a se stesso. Pensiamo poi agli spostamenti: era più gravoso che altro.

Alcuni sostengono che questo rito avvenisse in un clima di profonda religiosità, all’interno del nuraghe. Secondo alcune teorie, i templi sarebbero sorti vicino a voragini in cima a colli proprio per questa macabra motivazione. Di questa pratica, si conserva memoria in molti posti. A Gairo, ad esempio.

Rito analogo a quello della soppressione dei vecchi, è quello dell’uccisione dei malati. Più o meno, ci sono le stesse motivazioni.

“Accabbadoras”, questo il nome delle donne che mettevano fine alle sofferenze a partire dall’epoca nuragica e fino al secolo scorso.

Massimo Pittau, alla ricerca di connessioni tra sardi nuragici ed Etruschi, avrebbe trovato a Perugia uno specchio con una raffigurazione di Atropo, la parca che aveva il compito di tagliare il filo della vita: tra le sue mani, un matzolu simile al martello dell’accabbadora. Quello strumento, quindi, aveva funzione funebre-funeraria, di “Buona morte”.

Il colpo di martello quindi era la fine delle sofferenze, non certo una punizione.

Il non morire era, nell’isola, una punizione. Era peggio della morte stessa.

“101 perché sulla storia della Sardegna che non puoi non sapere”, Antonio Maccioni, Newton Compton

È arrivata da Seui la notizia che nessuno avrebbe voluto ricevere: Antonio Chillotti, per tutti il dottor Chillotti, si è spento dopo aver da poco festeggiato i suoi 101 anni, compiuti lo scorso novembre. Figura amatissima, farmacista e professore, rappresentava un autentico esempio di quella che gli studiosi definiscono “vecchiaia attiva”: una vita lunga, vissuta con curiosità, impegno e profondo legame con la comunità.

Dott Antonio Chillotti, Seui PH Pierino Vargiu

Nato a Seui, aveva intrapreso gli studi al seminario di Lanusei prima di laurearsi in Farmacia nel 1953. L’anno successivo aveva sposato Carmen Piga, con la quale ha costruito una famiglia numerosa, composta da cinque figli. Rilevata la farmacia del padre, ha esercitato la professione per oltre mezzo secolo, diventando un punto di riferimento per generazioni di cittadini: sempre pronto a dispensare non solo farmaci, ma anche saggezza, ascolto e umanità.

Dott Antonio Chillotti, Seui PH Pierino Vargiu

Il dottor Chillotti lascia un’eredità profonda, fatta di dedizione, passione e radici salde nella sua terra. La comunità di Seui, oggi, ne ricorda la gentilezza, l’instancabile operosità e il sorriso che lo accompagnava ovunque.

Un ringraziamento speciale va, come sempre, a Pierino Vargiu e Angela Mereu, ambasciatori dei centenari sardi, per le preziose informazioni e la bellissima fotografia che accompagna il ricordo di una figura indimenticabile.