Da Villagrande a Londra, l’architetta Irene Scudu e la sua passione: la sostenibilità ambientale
«Londra mi piace moltissimo. Amo essere circondata da un ambiente multi-culturale e ho amici da tutto il mondo» racconta. Qua succedono un sacco di cose dal punto di vista artistico, musicale, e tutto passa di qui, prima o poi.» La storia della villagrandese Irene Scudu
«Mi sono trasferita all’inizio del 2014 per il programma Leonardo. Sarei dovuta stare per 3 mesi, ma appena messo piede a Londra ho capito che ci sarei rimasta.»
Ecco come l’architetta villagrandese Irene Scudu inizia il suo racconto.
Tramite il progetto, come spiega, inizia a lavorare per un’organizzazione non-profit che si occupa di promuovere progetti di efficienza energetica in Regno Unito e in Europa. Allo scadere del tempo, senza successo, cerca lavoro ma la fortuna è dalla sua parte e l’estensione del contratto è cosa fatta: «La società aveva ancora bisogno di me.»
Si immerge completamente nel suo nuovo mondo inglese, Irene, grazie a colleghi e colleghe che la fanno sentire la benvenuta.
«Prima della fine del contratto ho trovato lavoro al Building Research Establishment (BRE), una società che si occupa di ricerca e sviluppo nelle costruzioni e nella sostenibilità. Qui ho lavorato prevalentemente come consulente tecnica per il BREEAM, un protocollo di certificazione della sostenibilità degli edifici. Era un sogno che si avverava. Avevo studiato il BREEAM durante il Master in Architettura Ecosostenibile qualche anno prima, ed ora mi ritrovavo a lavorare nella società che lo aveva ideato e a partecipare allo sviluppo. La sede del BRE era, ed è tuttora, a Watford dove mi sono, inizialmente a malincuore, trasferita, e ancora abito.»
“In the middle of nowhere” (in mezzo al nulla): ecco dove si trova il nuovo ufficio della villagrandese, ma questo non è un limite o una cosa negativa: «In pausa» racconta «andavo a correre, giocavo a tennis e ping-pong.»
Il filo conduttore dei suoi studi, in ogni fase della sua carriera scolastica – dal liceo alla laurea per arrivare a master e corsi di specializzazione all’estero –, e del suo percorso professionale è proprio la sostenibilità ambientale.
«Dopo 5 anni al BRE avevo voglia di cambiare e, dopo una pausa e una breve parentesi in una grande società internazionale, ho trovato lavoro come progettista e consulente Passivhaus in un piccolo ma rinomato studio di architettura, in un’altra contea, non troppo lontano da casa.» continua. «Era marzo 2020 e dopo una settimana mi sono ritrovata a lavorare da casa a tempo pieno. Il lavoro mi piaceva moltissimo e mi dava la possibilità di progettare e di mettere in pratica le competenze acquisite durante il corso per progettista Passivhaus qualche anno prima. Passivhaus è uno standard che certifica edifici ad altissime prestazioni energetiche, elevato comfort termico e qualità dell’aria.»
Nello studio Irene si occupa di nuova costruzione, ristrutturazione e riqualificazione energetica prevalentemente nel settore residenziale: «Facevo la progettista e davo supporto ai miei colleghi e consulenza ad altri studi di progettazione su come sviluppare progetti conformi agli standard energetici del protocollo.»
Ma arriviamo al presente, perché nel frattempo lo studio cambia sede e per vari motivi l’ogliastrina decide di cambiare.
«Ora lavoro da Max Fordham, una società principalmente di ingegneria impiantistica, ma che offre anche altri servizi, tra i quali la Passivhaus. Il mio ruolo è appunto Senior Passivhaus consultant. L’ufficio è a Camden, un quartiere molto bello e colorato di Londra vicino a Regent’s Park, dove passo quasi tutte le mie pause pranzo. Il lavoro è in parte simile al precedente, ma a scala molto più ampia e in diversi settori dal residenziale agli alloggi per studenti, scuole e centri multifunzionali. Lavoro al fianco di architetti, ingegneri impiantisti, strutturisti ecc., e do consulenza su come progettare per ridurre i consumi energetici e ottenere la certificazione.»
L’architettura le manca, qualche volta, ma tutto è compensato da altri elementi: «Sono felice di contribuire ai progetti su altri fronti. Il mio lavoro mi gratifica molto, specie quando riesco, insieme al team di progettazione, a trovare soluzioni costruttive sostenibili e esteticamente gradevoli.»
«Come dicevo abito a Watford, ora felicemente» chiarisce. «Non mi volevo trasferire all’inizio e ho provato a fare la pendolare. Col tempo ho iniziato ad apprezzarla. Ora abito sulla via principale e vicinissimo a Cassiobury Park. Qua trascorro tanto del mio tempo libero, vado a correre, in bicicletta e faccio lunghe camminate. Il parco è adiacente a un bosco di faggi che in primavera si riempie di campanule blu, bluebells (nella foto), ed è uno spettacolo camminare per i suoi sentieri. Il canale, in foto, Grand Union Canal, collega Londra a Birmingham e Leicester passando per Watford.»
La nostalgia per la famiglia si sente, dice, soprattutto per la mamma, nipotini e nipotine: «Mi trasferirò un giorno.»
«Londra mi piace moltissimo. Mi piace essere circondata da un ambiente multi-culturale e ho amici da tutto il mondo» racconta. «Qua succedono un sacco di cose dal punto di vista artistico, musicale, ecc., e tutto passa di qua, prima o poi. Da appassionata di vini, mi piace che il panorama enologico sia molto vario, così come quello gastronomico. È anche una città che però prende un sacco di energie e tutto sembra temporaneo, almeno a me. Degli inglesi, sul lavoro, mi piace molto che pensano più alle soluzioni che ai problemi. E quando c’è da fare qualcosa di nuovo la fanno, senza bisogno di commissioni speciali di esperti. Si buttano e se sbagliano, pazienza, imparano la lezione e vanno avanti. Anche io ho abbracciato questo approccio sul lavoro e nella vita.»
E, quando si parla di dare un consiglio a chi volesse trasferirsi in Inghilterra, Irene suggerisce di: «Non sottovalutarsi, cercare il lavoro adatto alle proprie competenze e ambizioni e credere in sé stessi/e. Avere coraggio.»
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