Intervista a Giorgio Micheli, celebre artigiano re della pipa in radica e memoria storica ogliastrina
Scopriamo la vita e le attività di un uomo a cui Lanusei deve tanto, una persona colta che lavorando sodo ha creato una realtà artigianale importante, innovato un paese e dato l’anima per il territorio. E di quella volta in cui regalò una pipa a Sandro Pertini.
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Spesso la memoria storica dei piccoli paesi è riconoscibile in singoli individui, veterani della cosa pubblica, appassionati delle tradizioni, innovatori ricchi di idee e persone che “vivono” i luoghi. Per quanto riguarda Lanusei, tutte queste caratteristiche sono riscontrabili nel signor Giorgio Micheli.
Un uomo colto e conoscitore del territorio, che in questa intervista, fatta fra le mura domestiche ricche di tantissima arte e oggetti riconducibili al passato dell’Ogliastra, comprenderemo meglio dando a tutti la possibilità di abbeverarsi da questa brillante fonte di conoscenza vivente.

Partiamo dal principio: lei è a tutti gli effetti un lanuseino e un ogliastrino, però non è nato qui. Ci racconti un po’ del come e perché è capitato in Sardegna.
Mio nonno, Alemanno Nannini, nei primi anni ’30 del Novecento decise di migrare dalla Toscana alla Sardegna per motivi legati al suo lavoro. Infatti era un giramondo e aveva incassato l’interesse di una importante ditta tedesca che voleva acquisire gli abbozzi fatti da una materia prima che ha segnato poi il percorso della mia famiglia, la radica di erica sarda. Questa non è altro che un arbusto che si presenta con tante fibre legnose che risultano contorte e che può essere asportato dalla pianta per poi essere lavorato. Già nel 1880, in una Lanusei che viveva un periodo di intense trasformazioni, c’era una segheria atta alla fabbricazione dei cosiddetti abbozzi per pipe. Purtroppo, all’epoca questo tipo di lavoro non era usuale per una popolazione dedita prevalentemente ai lavori del mondo rurale e composta in maggioranza da pastori e contadini. Per questo motivo le segherie del tempo cercavano manodopera dalla penisola e non furono pochi quelli che risposero alla chiamata. Fra questi mio nonno, considerato un “pioniere della fabbrica di pipe in radica”. Io sono nato a Grosseto nel 1929 e mi sono trasferito qui nel 1932, dove ho vissuto costantemente esclusa una parentesi nel periodo bellico durante la quale ho vissuto fra Sassari, Nuoro e Olbia. Qui mi sono sposato con Tonina nel 1949 e abbiamo avuto sei figli e una vita bella.
Ci dica di più riguardo al lavoro: dove procurava la radica? Può descriverci qualche passaggio della lavorazione?
La pipa come oggetto ha preso valore al tempo dei cercatori d’oro, i raccoglitori di caffè, i cacciatori di pellicce. Erano uomini che per via del loro lavoro dovevano stare isolati in zone impervie per lunghi periodi, a volte anche più di sei mesi e guai che mancassero una dozzina di pipe. Potete immaginare un mercato abbastanza vasto che è perdurato nei decenni seguenti a quei tempi. Al tempo delle prime segherie era davvero complicato far capire ai contadini che la radica e quindi le pipe, potevano essere delle importanti risorse economiche. C’era tanta domanda e si poteva lavorare bene dato che la Sardegna forniva radica di qualità al mondo intero, cosa che oggi è impossibile non essendoci più il mercato di una volta. Infatti, era rinomato il cosiddetto “Ciocco Sardo” il quale qualsiasi azienda del settore avrà sicuramente trattato nel passato. Alla fine dell’Ottocento a Lanusei venne costruita la stazione dei treni e la ferrovia era diventato un importantissimo mezzo di trasporto. Per questo motivo il nostro laboratorio era adiacente alla stazione, nell’area in cui attualmente troviamo l’ospedale Nostra Signora della Mercede, in modo da poter sia ricevere la materia prima, che spedire questa una volta elaborata in abbozzi verso Arbatax e i velieri che l’avrebbero trasportata fuori dall’isola. Recuperavamo i ciocchi di erica arborea da tutta l’Ogliastra, con carri a buoi che giungevano fin da Talana e Villagrande Strisaili e un treno merci che circa ogni 15 giorni o su esplicita richiesta faceva una fermata per far riempire uno dei vagoni di materia prima. C’è stato un periodo in cui trattavamo fino a settemila quintali di radica in un anno, esportando il prodotto in Germania, Gran Bretagna, Olanda e il Canada.
Avete lavorato tanto e avuto contratti e collaborazioni anche con realtà importanti del settore. Com’è cambiata questa attività nel tempo?
Sì ad esempio con la ditta Savinelli, ma anche la ditta tedesca che fece la convenzione con mio nonno non era da meno. Veniva riconosciuto il nostro lavoro, che era duro e parecchio da svolgere tant’è che ci sono stati periodi in cui lavoravamo in turni massacranti anche di dodici ore, alternandoci perfino di notte pur di soddisfare la domanda. La verità è che eravamo bravi e lavoravamo dei prodotti di qualità. Ricordo ancora che nei dépliant che inserivamo nella scatola contente la pipa c’era scritto “Pipa costruita con radica dei migliori boschi secolari della Sardegna”. Dopo aver studiato ho cominciato con questo lavoro a 15 anni, imparando e faticando moltissimo. A un certo punto fra il 1971-1972, ci fu la crisi della radica dovuta al fatto che i grossi industriali potevano reperirla più facilmente a minor costo dal basso Mediterraneo. Dei prezzi cosi stracciati ci mettevano in chiara difficoltà. Così io ho lavorato nell’industria della radica fino al 1971, continuando poi a realizzare le Pipe Ogliastra.
È cosa nota che una delle sue pipe sia stata in possesso di un grande personaggio storico.
Nel 1982 decisi di inviare una pipa all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini e Luciano Lama, noto ex segretario della CGIL. Ovviamente non è stato facile farla arrivare al Presidente, dovendo affrontare giustamente mille controlli di sicurezza. Ma una volta arrivata a destinazione, il Presidente Pertini si preoccupò addirittura di mettersi in contatto con me via telefono. È stato molto piacevole e durante questo scambio telefonico mi chiese tanto di Lanusei, promettendo di imparare di più al riguardo di un paese sardo che non conosceva. Si diceva che la pipa in questione fu quella usata dal Presidente durante i Mondiali di Calcio in Spagna dello stesso anno.
Lei abita a Lanusei da una vita ed è riconosciuto come persona che ha dato tanto al paese sotto vari aspetti. Prima di parlare di cosa ha fatto nel tempo, ha un ricordo che vuole regalare ai nostri lettori?
Una cosa bellissima di Lanusei è sempre stato l’oratorio dei Salesiani, una realtà che al paese ha fatto tanto bene e segnato questo comune nell’anima. Ci sarebbero tantissime cose da dire e raccontare ma mi è rimasto impresso un gioco! Si chiamava il “passo volante” e non era altro che un palo di castagno piantato nel terreno alla cui apice veniva posta una girella con sei catene alle quali erano attaccati una specie di seggiolini. Noi lo usavamo ogni volta che potevamo e c’erano i bambini più grandi che riuscivano sempre a ritagliarsi la fetta migliore e usare il gioco più tempo. Ma a controllare il gioco c’era anche Don Usai, direttore dell’oratorio che all’epoca, quando io ero un ragazzino, aveva probabilmente già quarant’anni. Questi nei pomeriggi liberi si piazzava nel cortile in cui giocavamo con il passo volante, facendoci rispettare rigorosamente dei turni, quattro alla volta per cinque minuti sul gioco, ripetendo ogni volta una frase in sardo “Cuatru chi ant acabau s’ollu ‘e porcu”. Questa era la funzione importante dei Salesiani, educatori dei bambini scalzi e poveri che ci insegnavano anche a condividere le cose che avevamo.
Come detto poco fa, lei ha lavorato a tanti progetti tuttora presenti e funzionanti a Lanusei, fra queste le attività della Pro Loco.
Sono stato quarant’anni in Pro Loco di cui trenta da presidente. Questa venne fondata dal padre di Siro Anedda e il signor Manca, un guardafili del tempo, che in collaborazione con il giurista Anselmo Contu, sardista e primo Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, riuscirono a far costruire lo stabile in cui ha sede ancora oggi. Quando presi le redini della Pro Loco, ricordo che mi venne dato in mano l’unico bene di cui disponeva, ovvero un quaderno per la contabilità e la somma di 500 lire. Risorse che dovevamo farci bastare. Così nei primi anni ’80 sviluppammo l’idea di una sagra nuova, che andava in qualche modo a sostituire la sagra e le feste della vendemmia alle quali avevo assistito negli anni ’30. La natura ci offriva un buon prodotto, le nostre ciliegie, che permettendoci di avere una varietà non di poco conto ci diede la spinta per la prima edizione della Sagra delle Ciliegie, evento che negli anni è cresciuto diventando la Fiera che oggi tutta la Sardegna conosce. Oggi le Pro Loco lavorano con difficoltà come tutte le associazioni, ma è bello vedere che c’è chi ancora si spende per il proprio paese. Altro risultato a cui tengo tanto è il tiro a piattello nei pressi di Tricoli, ancora oggi funzionante dal 1972 e frequentato da tanti appassionati. Un luogo che ha permesso di ridurre le ostilità spesso dettate dai complicati rapporti fra cacciatori e ha creato maggiore socialità sia a Lanusei che i paesi nei dintorni. Inoltre, essendo per l’appunto un cacciatore e appassionato di arte venatoria, ho scritto qualche racconto proprio sulla caccia, i boschi e i cacciatori solitari.
Fra le tante esperienze che ha fatto mi risulta anche un’esperienza come amministratore in Comune, ci dica qualcosa in merito. Inoltre, ha un messaggio per i giovani che leggeranno questa intervista?
Sono stato consigliere comunale durante un mandato del sindaco Paolo Cabras negli anni ’70. È stata un’esperienza interessante ma dopo varie vicende complicate della politica ho deciso di non ripresentarmi agli elettori e di occuparmi del bene del mio paese attraverso altri canali, cosa che ho sempre fatto. È bello sapere che ci sono ancora giovani che si dedicano al proprio paese e che lo curano come si deve, anche in periodi difficili come questo in cui spesso manca il lavoro e c’è tanta incertezza. Per questo lodo sempre le iniziative che provengono dal mondo dell’associazionismo e dalle persone che credono in un posto bellissimo come Lanusei e un territorio unico come l’Ogliastra.

Anna Castiglia vince il Premio Tenco: il disco prodotto dal tortoliese Daniele Spatara

Racconta il produttore tortoliese: "Eravamo molto contenti del risultato finale, ma non ci saremmo mai aspettati di ricevere la notizia della vittoria della Targa Tenco come Miglior Opera Prima."
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Venerdì scorso si è svolta la premiazione delle Targhe Tenco 2025 al Teatro Ariston di Sanremo, il prestigioso riconoscimento assegnato dal 1984 ai migliori dischi dell’anno di canzone d’autore. Tra i vincitori si distingue quest’anno Anna Castiglia, premiata come Miglior Opera Prima per il suo primo album, prodotto insieme a Daniele Spatara, giovane musicista e produttore originario di Tortolì e a Simone Matteuzzi.
Le Targhe Tenco sono assegnate dall’Associazione culturale Club Tenco, fondata a Sanremo nel 1972 da un gruppo di appassionati di musica guidati dal floricultore ed ex partigiano Amilcare Rambaldi, per promuovere la canzone di qualità. Intitolata al grande cantautore Luigi Tenco, l’associazione opera senza scopo di lucro e con assoluta autonomia dall’industria musicale. Lo scopo del Club è valorizzare la canzone d’autore, cercando nella musica leggera dignità artistica e poetico realismo.
Daniele, classe 2000, ha iniziato il suo percorso musicale nel 2013 studiando con il maestro Andrea Nulchis, entrando in contatto con un ambiente stimolante che gli ha permesso di coltivare la passione insieme ad altri giovani musicisti. Da queste esperienze sono nate diverse formazioni, tra cui i Night Groove, con cui ha partecipato alla 33ª edizione del Festival di Sanremo Rock nel 2019.
Dopo il diploma, Spatara ha approfondito gli studi di composizione al Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia, prima di trasferirsi a Milano al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, specializzandosi in Composizione Pop Rock. Qui ha costruito una solida rete di collaborazioni artistiche, distinguendosi come musicista live, produttore e compositore di brani originali. Per due anni consecutivi ha ricevuto il Premio del Conservatorio, grazie ai progetti del cantautore lombardo Simone Matteuzzi e della cantautrice pugliese Rosita Brucoli, ottenendo anche riconoscimenti al Premio Nazionale delle Arti, tra cui “Miglior rielaborazione di un brano di Pino Daniele”, “Miglior Ensemble” e “Ricerca e Contaminazione”.
Parallelamente all’attività in studio, Spatara continua a calcare i palchi italiani con progetti di stampo pop cantautorale e sperimentale, esibendosi in spazi significativi della scena musicale nazionale, tra cui BASE Milano, Santeria Toscana, MI AMI Festival, Auditorium Parco della Musica e molti altri. Nel 2023, insieme a Simone Matteuzzi, è stato tra gli otto vincitori di Musicultura, uno dei principali festival italiani dedicati alla canzone d’autore.
Daniele racconta il lavoro che ha portato al riconoscimento: “Per quanto riguarda le dinamiche, Anna, che già conoscevo perché frequentava il mio stesso conservatorio a Milano, mi ha contattato un giorno per chiedermi se mi sarebbe piaciuto partecipare assieme a Simone Matteuzzi alla produzione del suo disco d’esordio. Sapendo delle grandi qualità artistiche di Anna, ho accettato con grande gioia.”
“Si è svolto tutto nell’arco di un mese, dalla fase di arrangiamento a quella di registrazione, fino alla finalizzazione con mix e master. Abbiamo coinvolto amici e colleghi musicisti che ci hanno aiutato a portare questo lavoro a un livello successivo, come Max Marcer ai fiati, Edoardo Bolamperti alla batteria e percussioni, Jaromir Rusnak al contrabbasso, e Pinaxa che ci ha supportato nella fase di finalizzazione e master dei brani.”
“Eravamo molto contenti del risultato finale, ma non ci saremmo mai aspettati di ricevere la notizia, lo scorso luglio, della vittoria della Targa Tenco come Miglior Opera Prima.”
La Targa Tenco assegnata nel 2025 ad Anna Castiglia, con la produzione di Daniele Spatara, consolida il percorso di entrambi nel panorama della musica d’autore italiana, portando alla luce talento, passione e sensibilità musicale nella scena contemporanea.
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