Accadde oggi: il 29 aprile 1945 viene liberato il campo di concentramento di Dachau
Accadde oggi: il 29 aprile 1945 viene liberato il campo di concentramento di Dachau
Accadde oggi: il 29 aprile 1945 viene liberato il campo di concentramento di Dachau
Quando il 29 aprile del 1945 i soldati americani (della 42esima Divisione fanteria e della 45esima Divisione fanteria, Settima Armata americana) entrano nel campo di concentramento di Dachau quella che i giovani soldati si trovano davanti è una scena raccapricciante.
È il 29 aprile del 1945 quando i soldati americani (della 42esima Divisione fanteria e della 45esima Divisione fanteria, Settima Armata americana) entrano nel campo di concentramento di Dachau. È una scena raccapricciante, quella che i giovani soldati si trovano davanti. Morti ovunque, cadaveri ammassati in vagoni ferroviari, sopravvissuti ridotti pelle e ossa, visibilmente malati e gravemente denutriti. Un inferno in terra si staglia dinanzi ai loro occhi, provocando disgusto, orrore e molta rabbia. Agghiacciati dalla situazione, alcuni giovani soldati americani perdono probabilmente la testa.
È a quel punto che danno inizio a un atto di rappresaglia che sarà poi ricordato come “Il massacro di Dachau”. I membri delle SS, arresi, vengono uccisi dagli americani e dagli stessi prigionieri del campo.
Eisenhower – comandante in capo dell’esercito – emette subito un comunicato sull’apertura del campo parlando di liberazione dei prigionieri (circa 32.000) e di “neutralizzazione delle SS” senza dare troppi dettagli ma successivamente molti episodi vengono alla luce e diventano oggetto di indagini militari da parte dell’Ufficio dell’Ispettore Generale della Settima Armata.
Le prime versioni, quelle secondo le quali i membri delle SS vengono uccisi a seguito di un tentativo di fuga, sono prontamente smentite. Non si conosce il numero esatto degli uccisi, la maggior parte delle stime parla di una cinquantina di morti – sopraggiunti tra esecuzioni dei militari e linciaggi degli stessi prigionieri –, benché qualcuno parli addirittura di centinaia di esecuzioni.
(FOTO) Lo sapevate? A Villagrande c’è il più importante centro metallurgico nuragico dell’Isola
Ma non solo, S’Arcu e is Forros era un po’ un Lourdes nuragico: le persone accorrevano dai villaggi vicini per chiedere la grazia di una guarigione o la risoluzione di un problema e lasciavano nei templi dei doni
S’Arcu e is Forros, a pochi chilometri dal passo di Correboi – ancor oggi uno dei più importanti punti della viabilità sarda –, è considerato dagli studiosi il più importante centro metallurgico nuragico in Sardegna e non solo: si trattava di una specie di Lourdes nuragico. Ma andiamo per gradi.
Qui, ben 3500 anni fa, i nuragici costruiscono un nuraghe monotorre e un primo insediamento di capanne, ma il cambiamento avviene nel 1200 a.C.: è allora che soffia il vento della rinascita. Nasce una nuova architettura sacra, che si basa sull’acqua, vista ovviamente come elemento vitale, e S’Arcu e is Forros, santuario nuragico ricco di templi, diventa crocevia di “pellegrini”: «Forse in occasione di feste o ricorrenze legate all’annata agraria, arrivavano dai villaggi vicini numerose persone a piedi o con i carri» racconta Alessandra Garau, una delle guide turistiche di Archeonova, squadra composta da eccellenti professionisti.
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S'arcu e is forros Villagrande9
Ma non solo: come abbiamo detto, S’Arcu e is Forros era per le persone di allora una specie di Lourdes nuragico. «In queste occasioni ci si incontrava, si scambiavano merci o animali, si stipulavano contratti, si banchettava e naturalmente si pregava nei pressi dei templi. I sacerdoti accoglievano i fedeli si invocavano alla Divinità lasciando nei templi pregiati doni che, oltre al loro valore materiale, portavano in sé l’immenso valore delle speranze e delle preghiere che imploravano la grazia di una guarigione o di risoluzione di un problema. I preziosi bronzi ritrovati nei templi, oggetti di uso comune ma anche i celebri bronzi figurati che conosciamo con il nome di “bronzetti”, sono dei veri e propri ex voto che avevano la stessa funzione di supplica e preghiera degli ex voto che ancora oggi vengono lasciati nelle chiese dedicate ai Santi dalle proprietà miracolose.»
Così arriviamo al primato importante che dà a S’Arcu e is Forros il riconoscimento di più importante centro metallurgico della Sardegna. Durante la loro storia millenaria, dall’Età del Bronzo medio a quella del Ferro, tra il 1600 e il 600 a.C., i nuragici hanno sviluppato abilità artigianali eccellenti. Non erano solo contadini, pastori e costruttori – spiega Garau – ma anche bravissimi fabbri. «Nelle officine fusorie nuragiche venivano realizzati attrezzi per l’edilizia e il lavoro sui campi,» continua Garau «venivano forgiati accessori per l’abbigliamento, monili e manufatti preziosi che venivano scambiati in segno di amicizia e benevolenza tra capi nuragici oppure donati ai navigati che si fermavano in Sardegna: l’economia si basava sugli scambi di beni e oggetti di valore perché ancora non esisteva la moneta.»
Ed ecco che culto e metallo si uniscono: nei bronzetti che venivano appunto “venduti” alle persone, che poi li donavano per ricevere favori dalle divinità.
Ciò che distingue però S’Arcu e is Forros dagli altri villaggi nuragici è la presenza di vere e proprie officine fusorie: qui venivano prodotti gli oggetti che venivano scambiati durante le feste e che venivano consegnati in dono ai sacerdoti.
Unico ed eccezionale: così viene definito un monumento in particolare.
Dopo un attento studio, è emerso qualcosa di stupefacente: «Il ritrovamento di scorie di metallo e resti di fusione ha fatto capire agli archeologi che poteva trattarsi di fornaci per l’estrazione dei minerali: dalle piccole aperture messe alla base, con dei grossi mantici, veniva soffiata l’aria per alimentare i fuochi e raggiungere le alte temperature necessarie a fondere i metalli. È suggestivo pensare che, a distanza di tremila anni, il sito conserva nel suo nome l’essenza della vocazione che aveva in epoca nuragica: S’Arcu ‘e is Forros si potrebbe tradurre come il Valico dei Forni. Questo nome evocativo riassume l’importanza del sito e la potenza della comunità che lo abitava: era situato nei pressi di un valico appunto, luogo di passaggio, di confine ma anche di incontro, da dove era possibile controllare la porta occidentale dell’Ogliastra. I forni richiamati nel nome poi sembrano voler riassumere la vocazione, oltre che sacra, produttiva connessa alla metallurgia e alla ricchezza dovute alla straordinaria capacità di lavorare e gestire i preziosi metalli da parte di abili artigiani e di potenti sacerdoti.»
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