Perdas, lo splendido murale di Michela Casula dedicato a Ida Naldini

L'ultimo murale realizzato da Michela Casula a Perdasdefogu raffigura Ida Naldini, la prima ostetrica arrivata a Foghesu nel 1939, una donna dalla storia incredibile
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L’ultimo murale realizzato da Michela Casula a Perdasdefogu raffigura Ida Naldini, la prima ostetrica arrivata a Foghesu nel 1939.
La storia di questa incredibile donna è stata raccontata dal giornalista Giacomo Mameli nel libro “Hotel Nord America”.
La trama del romanzo di Mameli:
«1939: il giorno dopo il diploma, 22 giovanissime ostetriche dell’Università di Bologna vengono inviate in Sardegna. Li, come in diverse regioni dell’Italia continentale, la mortalità infantile è alta, e di parto muoiono anche molte mamme. Del gruppo di ostetriche fa parte Ida Naldini, ragazza tosco-campana che si ritrova su un traghetto per l’isola sconosciuta senza nemmeno poter avvisare i familiari.
La prima tappa sarda è Nuoro dove il Prefetto le fa alloggiare nell’Hotel Nord America: ma è un postribolo mascherato da locanda e la notte si tiene l’assedio dei focosi giovinotti locali che hanno scambiato le maestras de partu per un contingente di prostitute. Da Nuoro, Ida viene spedita a Foghesu (alias Perdasdefogu), sotto il Gennargentu. Qui sarà presto mamma anche lei, sposa di Orazio, in una comunità poverissima dove il regime fascista manda al confino donne dissidenti e zingare.
A Foghesu l’ostetrica diventa Signorida, dai paesi vicini la cercano medici che poco sanno di nascite, è coinvolta in una comunità povera sì, ma ricca di umanità, e lei si trova bene, si fa raggiungere dalla mamma sartina e dal padre ferroviere, avversario del giovane Mussolini nelle zuffe fra bande dell’Appennino tosco-emiliano. Signorida diventa una donna-coraggio, guada a cavallo torrenti in piena, deve curare puerpere ma anche banditi. Col dopoguerra Foghesu comincia a cambiar volto, ragazzi e ragazze possono studiare.
Ida è ormai una di loro, parla in sardo, è testimone e protagonista della ricostruzione post bellica, poi di vicende da Guerra Fredda, con Foghesu diventata sede di poligono militare, da dove l’Europa tenta l’avventura spaziale. Col tempo, microstorie di villaggio si intrecciano con gli antifascisti esuli in Francia, i massacri nelle guerre coloniali in Africa, e caprai analfabeti dialogano con fisici europei che studiano le stelle e giornalisti reduci dalla guerra in Vietnam. Ida tornerà anche ai luoghi dell’Hotel Nord America, rincontrandosi con le antiche colleghe bolognesi rimaste come lei in Sardegna, da allevadora navigata che ha messo al mondo 1.846 bambini».

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Il Ginepro nano, piccolo gigante delle montagne sarde: vive dove pochi osano, scopriamo dove

Vive dove pochi osano, oltre il limite degli alberi. Sembra umile, rannicchiato al suolo come per difendersi dal vento, ma il Ginepro nano è un autentico sopravvissuto. Scopriamo insieme dove poterlo trovare.
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Sembra umile, rannicchiato al suolo come per difendersi dal vento, ma il Ginepro nano è un autentico sopravvissuto. La sua corteccia bruno-rossastra racconta storie di inverni gelidi e di sole impietoso, mentre i rami, contorti e intricati, sembrano il frutto di una lenta danza con gli elementi.

Foto Forestas
I giovani germogli, glabri e angolosi, portano foglie aghiformi lunghe appena un centimetro, rigide e pungenti, con una sottile banda glauca sulla pagina superiore. Quelle più vicine alla punta dei rami si piegano verso il legno, come se volessero proteggerlo.

Foto Forestas
Pianta dioica, nasconde i suoi fiori all’ascella delle foglie. I frutti, i caratteristici galbuli sferici dal colore bluastro, maturano lentamente: ci vogliono oltre dodici mesi, da aprile-maggio, quando fiorisce, fino al settembre-ottobre dell’anno successivo. All’interno custodiscono due o tre semi, promesse di nuove piante pronte ad affrontare le stesse sfide.
Il Ginepro nano ha radici antiche. Diffuso sulle montagne europee e persino a basse quote dell’emisfero settentrionale, in Sardegna trova il suo regno nel Supramonte di Orgosolo e sul massiccio del Gennargentu. Vive dove pochi osano: nella fascia sopramontana, oltre il limite degli alberi. Ama la luce piena, resiste al vento e al gelo, e non fa distinzioni sul terreno che lo ospita.
È una lezione di resilienza vegetale, un simbolo silenzioso delle nostre montagne, che insegna come anche le forme più piccole possano essere straordinariamente forti.

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