Lo sapevate? Le “pintaderas” venivano usate dai nuragici per decorare il pane

Si chiamano “ Pintaderas” e risalgono all’epoca nuragica, sono piccole matrici di terracotta circolari in basso rilievo che servivano per decorare il pane votivo ancora crudo.
Si chiamano “ Pintaderas” e risalgono all’epoca nuragica, sono piccole matrici di terracotta circolari in basso rilievo che servivano per decorare il pane votivo ancora crudo. Potevano avere un diametro che variava dai 5 ai 10 centimetri e venivano utilizzate come una sorta di timbro che imprimeva figure geometriche in rilievo prevalentemente a raggiera. Il pane, considerato un bene prezioso, veniva anche donato alle divinità. Molti bronzetti rinvenuti negli scavi archeologici in diverse zone della Sardegna, infatti raffigurano uomini nell’atto di salutare in un gesto di devozione la divinità, mentre recano un piccolo pane nella mano sinistra. Queste piccole focacce sono caratterizzate da decorazioni che ricordano i motivi delle pinaderas ma incise in negativo.
Le pintaderas, simili tra loro, ma con molte varianti risalgono al termine del Bronzo Finale e alla prima Età del Ferro (X-VIII secolo a.C.) e sono state rinvenute in diversi scavi, nei villaggi e nei luoghi di culto, a dimostrazione del fatto che erano state create proprio con lo scopo di decorare il pane destinato alle cerimonie. Questa tradizione di decorare il pane con le matrici è stata mantenuta anche in epoca punica, in quella cartaginese e romana.
Anche in epoche molto più recenti, si usava “timbrare il pane”, anche se la finalità era diversa. Non si trattava infatti di decorare il pane, ma dal momento che spesso si utilizzavano forni pubblici per la cottura del pane, ogni famiglia usava contrassegnare il proprio pane con una “marca” personalizzata per distinguerlo da quello degli altri. Le marche erano fatte di legno e spesso erano finemente scolpite con complesse composizioni floreali, motivi geometrici o animali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lo sapevate? Cento anni fa anche gli emigrati sardi venivano reimbarcati per l’Isola senza cibo né acqua

Era settembre del 1907, quando sui quotidiani dell'epoca si lanciava l'allarme su un nuovo preoccupante fenomeno, quello dell'emigrazione.
Non solo il fiscalismo statale vessava le finanze già ridottissime dei sardi, ma continue annate agrarie difficili a causa della siccità e l’atavica mancanza di lavoro dei primi anni del ‘900 gettarono le basi per un fenomeno che fino a quel momento era quasi completamente sconosciuto e che non conoscerà tregua fino ai giorni nostri: l’emigrazione. Come scrive Manlio Brigaglia, in Cronologia della Sardegna contemporanea, i quotidiani dell’epoca lanciarono l’allarme sul fenomeno che si stava estendendo in maniera esponenziale. Nei primi sei mesi del 1907 partirono 4325 persone, 2524 dalla provincia di Cagliari e 1801 da quella di Sassari. A settembre dello stesso anno mille minatori di Iglesias si preparavano a partire per sfuggire a una delle tante crisi del settore minerario. Un minatore in Sardegna percepiva mediamente da 1,25 a 1,70 lire al giorno, mentre in Corsica il salario giornaliero poteva arrivare alle 3 lire e mezzo e addirittura in America si diceva ci fossero società che pagavano anche 6 lire al giorno.
Non sempre questi viaggi portavano a un nuovo inizio, i sardi spesso impegnavano tutto ciò che gli restava per pagare la traversata, ma una volta giunti sul posto venivano truffati, a quel punto senza la sicurezza di un lavoro non potevano restare, le autorità locali li reimbarcavano a Marsiglia e da lì poi li riportavano in Sardegna a bordo di navi sulle quali non veniva fornito loro nemmeno cibo o acqua. Si parla di più di 110 anni fa, ovviamente le condizioni in cui i sardi si trasferiscono soprattutto all’estero sono cambiate.
Adesso non sono solo quelli meno istruiti che vanno via. Sempre più giovani con competenze e alta professionalità vanno all’estero per trovare lavoro in aziende o istituti che retribuiscono meglio e soprattutto secondo il merito, i giovani più preparati. Uno studio 2016 rivela che il fenomeno dell’emigrazione è diventato una vera e propria emorragia: in un anno la Sardegna ha perso oltre 5mila abitanti, sono emigrate una media di oltre 400 persone al mese, con il picco a dicembre del 2016, quando hanno lasciato l’Isola, per tornare chissà quando, 994 persone. E non sembra che questo fenomeno ormai centenario, accenni ad arrestarsi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA