Progetto Chernobyl. La storia della famiglia Mulas di Loceri e del piccolo Dima
Sono passati 35 anni da quando la macchina della solidarietà della Sardegna ha avviato una collaborazione speciale e preziosa per tante persone: quella con un Paese, la Bielorussia, colpito duramente da uno dei capitoli più tragici della storia mondiale dell'ultimo ventennio del 900.
Sono passati 35 anni da quando la macchina della solidarietà della Sardegna ha avviato una collaborazione speciale e preziosa per tante persone: quella con un Paese, la Bielorussia, colpito duramente da uno dei capitoli più tragici della storia mondiale dell’ultimo ventennio del 900.
Chernobyl si trova in Ucraina, ma l’area bielorussa confinante è stata altamente contaminata dalle radiazioni dovute alla potentissima esplosione avvenuta il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare.
Obiettivo della sinergia tra i due Paesi, quello di dare ospitalità ai bambini che dopo il disastro nucleare di Chernobyl hanno avuto o hanno bisogno di un luogo in cui potersi purificare dalle scorie radioattive.
Ancora oggi, infatti, metalli pesanti come il cadmio continuano ad essere presenti nelle zone limitrofe all’Ucraina e danneggiano gravemente la salute degli abitanti di quei luoghi.
Ecco perché la Sardegna, con la sua aria pulita, il mare e il clima quasi sempre mite, è per i bambini bielorussi un luogo ideale per fare il pieno di salute.L’associazione che si occupa dei trasferimenti è la “Cittadini nel mondo Onlus” che ha sede a Cagliari. Ogni anno circa 300 bambini bielorussi atterrano all’aeroporto di Elmas per incontrare le famiglie ospitanti.
Sono tante le storie, di amore e solidarietà, che hanno caratterizzato questi anni di sinergia tra popoli. I bambini infatti, vengono ospitati da delle famiglie sarde di solito per un mese durante l’estate.
Una di queste storie, è quella di Dima, che viene dalla capitale della Bielorussia, Minsk. Una famiglia di Loceri, lo ospita ogni anno: Rosella Lai, Carmine Mulas e la loro figlia Paola da ormai sei anni gli offrono una casa e Dima è diventato parte integrante della loro famiglia.
«Abbiamo deciso di aderire al Progetto Chernobyl durante una giornata d’estate in spiaggia, dopo aver letto un articolo in un giornale che ne parlava. E’ stato come un flash, un’ispirazione. Ho chiamato l’associazione e a febbraio dell’anno successivo abbiamo fatto partire le pratiche di accoglienza. La prima volta che abbiamo incontrato Dima all’aeroporto – racconta Rosella – è apparso davanti a noi un bambino di otto anni, timido, piccolo, magrolino, con un cappellino sulla testa. I suoi occhi erano sbarrati per l’emozione. Appena gli hanno detto che noi eravamo la sua famiglia affidataria ha preso per mano me e mio marito e siamo andati via così. In quel momento era lui che stava dando coraggio a noi. Inizialmente l’unica parola che sapeva dire in italiano era “grazie” ed era una parola che ripeteva in continuazione. L’unica grande difficoltà che abbiamo avuto all’inizio era la lingua perché allora noi non disponevano di traduttori».
Rosella, Carmine e Paola sono rimasti così colpiti dall’esperienza, che continuano a ospitare Dima ogni anno. Il legame che si è instaurato tra loro ormai è forte e rimarrà per sempre, anche se questa esperienza un giorno dovesse finire. «Siamo stati fortunati – spiega Rosella- Dima è un bambino intelligente, con grande spirito di adattamento. Noi lo amiamo, non è solo lui che vuole venire da noi, ma siamo noi stessi ad aspettare ogni anno il suo arrivo».
Per la famiglia originaria di Dima però, non è stato semplice mandare il loro bambino in una terra lontana, con una cultura completamente diversa. «La prima volta che Dima è partito eravamo certamente agitati – racconta la sua mamma, Helena – Abbiamo letto e visto immagini della Sardegna , e abbiamo capito che è un’isola fantastica. Lo abbiamo fatto partire inizialmente per migliorare la sua salute. Siamo molto grati a Rosella e Carmine per la cura che hanno riservato al nostro piccolo».
Dima ogni anno frequenta la colonia estiva dei salesiani di Lanusei a Cea, dove ha avuto modo di fare amicizie, di conoscere i suoi giovani coetanei ma anche di imparare bene la lingua italiana.
«Mi piace molto la Sardegna – riflette il piccolo tra sorrisi e gesti nel tentativo di farsi capire – Il mare, il sole e gli amici sono la cosa più bella. Il Bielorussia non c’è tanto sole, e non c’è il mare. In Italia poi sono tutti belli e bravi – dice scherzando – Sono partito la prima volta per problemi di salute, ma adesso voglio tornare per Rosella, Carmine, Paola e per tutti i miei amici».
Quella di Dima è solo una delle tante storie che hanno costellato questi anni. Sono il simbolo di una Sardegna diversa, di una Sardegna migliore, che conosce il valore dell’ospitalità.
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