Accadde Oggi: 1° febbraio 1976, Gigi Riva atto finale, l’ultima partita con la maglia del Cagliari
Il primo febbraio 1976 Riva indossa per l'ultima volta la maglia del Cagliari. L'ennesimo infortunio, stavolta contro il Milan, lo mette fuori gioco definitivamente. La sua leggenda sopravviverà oltre la sua carriera. Una volta un suo avversario disse: «Quando Riva scendeva verso l’area avversaria, assomigliava alla migrazione di un popolo. Ti sembrava di sentire il rumore dei carri e la polvere alzarsi tutt’intorno».
Il primo febbraio 1976 non è una data come le altre. Non può esserlo per tutti i tifosi del Cagliari, ma non solo per loro. Ridurre Riva solo al calcio è un errore. Associarlo al solo mondo dello sport vuol dire sottovalutare la questione. Gigi Riva è stato più di un calciatore, più di uno sportivo. C’è qualcosa che va al di là, che scavalca i confini pur nobili dello sport.
Gigi (perdonate l’eccesso di confidenza) è stato Amsicora, Davide contro Golia. Ha unito un’Isola come nessun altro ha saputo fare. È stato, è, epica ed etica insieme. È stato per i suoi compagni di squadra ciò che Re Leonida è stato per i 300 spartani delle Termopili. Ed è per questo che quella domenica primo febbraio del 1976 fu maledetta, “bloody sunday” prendendo in prestito queste parole dagli U2.
Un’infortunio, l’ennesimo, contro il Milan, lo mette fuorigioco per sempre. Proverà a recuperare e nell’estate successiva si illuse e ci illuse di potercela fare. Convocò una conferenza stampa ed annunciò che Cagliari-Milan non sarebbe stata l’ultima sua partita con la maglia del Cagliari. E invece lo fu, purtroppo.
Ma se la retorica ogni tanto val la pena di essere usata, questa è una di quelle rare occasioni. Chiedetelo a chi l’ha visto giocare, facciamocelo raccontare, al di là dei filmati in bianco e nero. Parlatene ai bambini affascinati da creste e tatuaggi dei campioni di oggi, ditegli che quell’uomo che adesso vedono incerto e piegato dagli anni, ha avuto la schiena dritta più di chiunque.
Quindi chi se ne frega del risultato di quella gara, dei tabellini, o della diagnosi che lo costrinse, l’anno successivo, a svuotare il suo armadietto senza poter più difendere in campo quei “suoi” colori, quella “sua” gente. A fine campionato arrivò anche la retrocessione in B, e allora? Fu scendere fra i cadetti l’amarezza che caratterizzò quell’annata?
Una volta Burgnich, terzinaccio “vecchia maniera” dell’Inter e avversario di mille battaglie con Rombo di Tuono, disse: «Quando Riva scendeva verso l’area avversaria, assomigliava alla migrazione di un popolo. Ti sembrava di sentire il rumore dei carri e la polvere alzarsi tutt’intorno».
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