Ingegnere ambientale cagliaritano, dottore di ricerca in Ingegneria chimica per l’ambiente e la sicurezza e specializzato in Sicurezza e protezione industriale, Paolo Littarru lavora nel campo dell’inquinamento e della bonifiche dei siti contaminati da tanti anni e ha svolto ricerche e scritto pubblicazioni scientifiche in materia. Oggi con lui, però, parliamo di astronomia e archeologia sarda e del libro che ha dedicato a queste particolari discipline.
Da anni sei appassionatissimo di archeologia sarda e archeoastronomia. Come è nato questo interesse, apparentemente lontano dalla tua formazione e dalla tua professione?
Ormai 25 anni or sono, mi sono imbattuto, quasi per caso, negli studi di archeoastronomia dell’autodidatta di Isili Mauro Peppino Zedda. Da ingegnere e quindi da tecnico con nozioni di geometria e di topografia, non ho potuto non cogliere come del tutto evidenti – inequivocabili – gli esiti dei suoi studi. Ho avuto la fortuna e quasi il privilegio di assistere, quasi dall’inizio e talvolta “in diretta” allo spiegarsi di questi studi, che hanno abbracciato, penso di poter dire, la quasi totalità degli antichi edifici sardi, dalle domus de janas, ai dolmen, fino ai nuraghe, alle tombe di giganti, ai pozzi sacri e ai templi a megaron.
Mauro Peppino Zedda
Un corpus di studi imponente, che ha visto la partecipazione dei più importanti studiosi di archeoastronomia.
Sì, come Michael Hoskin, emerito di storia della scienza al Churchill College di Cambridge, Clive Ruggles, astronomo e archeologo, già docente di archeoastronomia all’Università di Leicester, Juan Antonio Belmonte, presidente della dell’Instituto de Astrofisica de Canaries, past president della Società Europea per l’astronomia nella cultura e Arnold Lebeuf, già ordinario di storia delle religioni all’università Jagellonica di Cracovia.
Pensa che nel 2005, si svolse ad Isili, il paese di Mauro Zedda, il Convegno della SEAC, con contributo della Regione Sardegna e con lo stesso Mauro e Juan Antonio Belmonte co-chairman. Giunsero in Sardegna 74 studiosi di astronomia culturale da tutta Europa. Gli archeologi sardi, pur invitati a partecipare, disertarono platealmente il convegno, come pure i media locali.
Su questa più che ventennale vicenda ho scritto il libro “”Il contadino che indicava la luna. Storia di un cambio di paradigma nell’archeologia sarda”. Due studiosi del calibro di Franco Laner (docente di tecnologia dell’architettura all’Università di Venezia IUAV), e Silvano Tagliagambe (docente di epistemologia), mi hanno onorato con la presentazione e la postfazione del libro.
Archeoastronomia nuragica: di cosa si tratta e perché risulta essere così bistrattata dagli archeologi sardi?
Mi pongo questa domanda da più di venti anni e mi sono dato alcune risposte. Gli archeologi italiani – e sardi in particolare – hanno un background di studi prettamente letterario e artistico, e talvolta faticano a comprendere argomentazioni fondate sulla geometria e sulla topografia. Si sono formati nell’ambito del paradigma scientifico denominato di Taramelli – Lilliu (dal nome dei due studiosi che hanno dato un’impronta decisiva all’interpretazione dei nuraghe come fortezze che è perdurata quasi un secolo e dal quale si tenta di venir fuori faticosamente). Probabilmente, poi, tutti gli studiosi di una qualsiasi disciplina faticano a prendere nella dovuta considerazione gli studi degli outsider. Ma l’epistemologo Thomas Kuhn, nel suo classico “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” ci insegna che i cambi di paradigma sono frequentemente merito di estranei al paradigma dominante o talvolta, addirittura, di assoluti estranei alla disciplina.
Spesso sottolinei come i nuraghe non siano solo astronomicamente orientati ma addirittura astronomicamente concepiti. Spiegaci meglio.
Il tema campeggia su riviste come il Journal for the History of the astronomy e sul monumentali trattati come l’Handbook of archaeology and ethoastronomy (Springer, New York, 2014 edito da Clive Ruggles).
Gli studi pubblicati dimostrano come i nuraghe congelino un pensiero astronomico in almeno tre sensi:
- La disposizione dei nuraghe sul territorio che ad esempio nella valle di Brabaciera a Isili è funzionale a traguardare i punti d’arresto solari e lunari.
- L’orientamento degli ingressi dei nuraghe, che statisticamente rivela dei target astronomici molto evidenti e distinti tra i nuraghe del nord e del sud della Sardegna.
- L’orientamento delle tangenti alle torri periferiche dei nuraghi complessi, la cui quasi totalità ha almeno una linea tangente disposta come un punto d’arresto solare (solstizio) o lunare (lunistizio).
Alcuni nuraghe, ovvero il Losa e il Santu Antine, sono qualcosa di ancora più raffinato ovvero non risultano solo e semplicemente astronomicamente orientati, ma addirittura inscritti negli assi solstiziali. La loro stessa forma triangolare può dirsi piegata a esigenze astronomica. Il moto del sole spiega e disvela la forma di questi straordinari e magnifici monumenti. La forma e la struttura del Santu Antine e la sua evidente concezione astronomica, hanno portato il massimo storico della scienza vivente, Michael Hoskin, a definirlo come “la più sofisticata costruzione in pietra a secco sulla superficie della terra”.
Copertina del Journal con un articolo sui nuraghe
Hai scritto il libro “Il contadino che indicava la luna”. Un titolo provocatorio, che parla del cambio di paradigma nell’archeologia sarda. Come è nato questo saggio? Perché hai sentito l’esigenza di raccontare di questa piccola rivoluzione scientifica ( e in cosa consiste questa rivoluzione)?
Si. Il titolo è volutamente provocatorio e allude al proverbio cinese secondo il quale “quando il saggio indica la luna, lo stolto si sofferma il dito”. Ho raccolto in un libro la vicenda scientifica di cui sono, per certi aspetti sono testimone oculare diretto. Tento di raccontare come per primo il linguista Massimo Pittau, recentemente scomparso, abbia demolito, fin dal 1979 il paradigma militarista di Taramelli – Lilliu e successivamente l’architetto Franco Laner (che nel libro definisco “L’accabadore” del paradigma), abbia dato il colpo di grazia all’interpretazione militare del nuraghe, evidenziandone l’afferenza alla sfera del sacro.
L’archeoastronomia completa la demolizione del paradigma, ci conferma e ci rivela una destinazione “sacra” e “simbolica” dei nuraghi che per nulla si concilia con le interpretazioni attuali e mondane dei nuraghe come magazzini, case o, peggio ancora “centri polifunzionali”. Tali interpretazioni ritengo siano del tutto infondate.
Ho scritto questo libro per la necessità di raccontare questa piccola rivoluzione scientifica, seppure in salsa locale, perchè nessuno possa dire “Non c’ero” o non sapevo. Ritengo di poter affermare che l’astronomia sta allo studio dei nuraghe come il Cristianesimo sta alla civiltà europea medioevale o l’Islam a quella Araba. Come felicemente sintetizza l’epistemologo Silvano Tagliagambe, che mi ha onorato con la postfazione del libro, “l’astronomia costituisce la chiave interpretativa imprescindibile per la comprensione della civiltà nuragica.
Si avvicina il Solstizio estivo. Cosa rappresentava per i nuragici questo momento particolare?
Non abbiamo ovviamente fonti scritte ma le pietre parlano chiarissimo: come per tutti i popoli antichi credo rappresentasse un momento dell’anno fondamentale sia rituale che, probabilmente calendariale. Lo spettacolo del sole solstiziale sui nuraghe può ammirarsi in diversi siti. Quest’anno pare esserci una gara ad organizzare eventi solstiziali sui siti nuragici. Mi lasci evidenziare l’incredibile caso del tappo sul magnifico nuraghe Is Paras di Isili, apposto sul foro apicale di una delle più belle cupole preistoriche del Mediterraneo, secondo qualcuno la più bella prima del Pantheon.
La geometria astronomica della magnifica cupola fu illustrata per la prima volta da Mauro Peppino Zedda nel 1992. Egli ripropose il tema anche in pubblicazioni successive del 2004, del 2009 e del 2013. I suoi rilievi misero in luce un fatto interessantissimo, ovvero come il rapporto tra la base e l’altezza della cupola congeli una chiara e raffinata geometria astronomica solare. Questo studio fu ripreso da alcuni dei massimi studiosi mondiali di archeoastronomia, tra cui Michael Hoskin (professore emerito di storia della scienza all’Università di Cambridge) e Juan Antonio Belmonte (presidente della dell’Instituto de Astrofisica de Canaries) nel loro trattato in lingua spagnola “Reflejo del Cosmos, Atlas de Arqueoastronomia del Mediterraneo Antiguo” (“Riflesso del cosmo. Atlante di archeoastronomia del Mediterraneo antico”) del 2002.
Da tempo purtroppo l’apertura della cupola è stata chiusa con un disco di pietra cementata, apposto dalla Soprintendenza col chiaro intento di impedire l’ingresso della luce solare e di fugare, quindi, eventuali interpretazioni del monumento in chiave astronomica.
Sabato si terrà la Festa del Solstizio. In diretta web da tutta Italia ci saranno gli esperti del settore e verranno coinvolti ben cinque siti sardi.
Sì, io sarò di base a Isili, quel giorno. Ci saranno diretta all’alba, nel pomeriggio e alla sera. La diretta serale, in particolare, riassumerà il senso dell’intera giornata di festa: ci ricorderà che per millenni il giorno del solstizio estivo è stato considerato sacro. Ciò sia in epoca cristiana che precristiana. Infatti, il 24 giugno, la festa di San Giovanni Battista rappresenta uno dei momenti di massima espressione della fede.
Lo spirito del solsistizio è stato elevato ai massimi livelli nell’arte, nella musica e nella letteratura. Senza dimenticare, ovviamente, la dimensione astronomica. Gli ospiti di sabato ne parleranno ampiamente, lanciando un sicuro messaggio positivo di rilancio culturale, etico e sociale, in un momento di particolare difficoltà per il mondo intero.
Alba del solstizio estivo dal nuraghe Nueddas sul nuraghe Nueddas- Isili valle di Brabaciera
La Sardegna non era, quindi, un’Isola di rozzi guerrieri che innalzavano fortini, o magazzini?
Per usare una felice definizione dello studioso Alessandro Mannoni la Sardegna nuragica ritengo che la Sardegna nuragica possa inquadrarsi come un universo-mondo “un mondo spirituale di suggestiva complessità e bellezza, caratterizzato nella prima fase da migliaia di torri simboliche collegate secondo allineamenti astrali finalizzati a trasformare l’Isola in un’immagine vivente dell’universo.
Cosa aspettano gli archeologi sardi a approfondire, tentare di comprendere e prendere atto di questo corpus di studi e del cambio di paradigma ormai in atto? Quale immenso e inesplorato giacimento di meraviglie potrebbe costituire il patrimonio archeoastronomico della nostra Isola, anche ai fini di uno sfruttamento turistico?
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