Il 27 aprile 1937, morì dopo una lunga prigionia nelle carceri fasciste il pensatore e filosofo sardo Antonio Gramsci, uno dei più grandi intellettuali della storia del ‘900.
Nacque ad Ales il 22 gennaio 1891. Figlio di Francesco Gramsci, impiegato del registro di Ghilarza di origini albanesi, e di Giuseppina Marcias, figlia di un esattore e piccolo proprietario terriero locale, il piccolo Antonio mostrò fin da subito grande talento e passione per gli studi. Tra mille difficoltà dovute alle ristrettezze economiche della famiglia, ai piccoli guai giudiziari in cui fu coinvolto il padre e alle precarie condizioni di salute, riuscì a ottenere la licenza ginnasiale a Santu Lussurgiu.
Antonio Gramsci all’età di 15 anni
Socialista da quando era adolescente, in Sardegna simpatizzò per l’indipendentismo che all’epoca era largamente diffuso per via delle condizioni di estrema povertà e disuguaglianza sociale in cui versava l’isola . Questo fomentò in lui sentimenti di ostilità verso la classe politica italiana e contribuì a forgiare l’indole ribelle che lo caratterizzò tutta la vita. Nel 1908 Gramsci si trasferì a Cagliari dove visse fino al diploma conseguito nel 1911 a pieni voti al Liceo Classico Dettori in piazzetta Savoia, alla Marina, quartiere dove abitò insieme al fratello Gennaro.
Successivamente si trasferì a Torino, dove entrò a far parte delle redazioni de Il Grido del Popolo e L’Avanti. Fu anche direttore della rivista L’Ordine Nuovo, per il quale scrisse l’editoriale in cui esortava il popolo a informarsi per non vivere nell’ignoranza: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza».
Nel 1921 fu uno dei principali fondatori del Partito Comunista Italiano, che cinque anni dopo fu bandito dal regime fascista e proseguì le sua attività clandestinamente. In “missione politica” a Mosca nei primi anni della Rivoluzione leninista conobbe quella che sarebbe diventata sua moglie due anni dopo, nel 1923, e madre dei suoi due figli: la violinista Giulia Schucht. «Mia carissima, che cosa mi ha salvato dal diventare un cencio inamidato? L’istinto della ribellione», scrisse in una delle sue lettere durante gli anni di prigionia.
La moglie di Gramsci Giulia Schucht e i figli Delio e Giuliano
Nel 1924 Gramsci fondò L’Unità, il cui titolo fu scelto da lui in nome «dell’unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo». Nel frattempo, Mussolini consolidava sempre di più il carattere dittatoriale del suo esecutivo proibendo ogni forma di libera associazione e di parola. Gramsci volle tuttavia essere ottimista sulla durata del regime: «Le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi», scrisse, forse non immaginando che la fine del fascismo sarebbe passata attraverso un’altra guerra mondiale con milioni di morti.
«Le guerre sono fatte per il commercio, non per la civiltà», scrisse il Gramsci adolescente in un tema di fine anno al liceo. Se la prese anche con chi, pur essendo contrario al regime, non faceva niente per cambiare il corso degli eventi e lo disse in una celebre dichiarazione:«Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia loro piagnisteo di eterni innocenti». Fu arrestato il 5 ottobre 1926 e rinchiuso dapprima nel carcere romano di Regina Coeli e, l’anno successivo, in quello milanese di San Vittore. Il processo si tenne nel 1928 e e Gramsci venne condannato a vent’anni con l’accusa di cospirazione, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. Nella sua requisitoria, il pm pronunciò una frase divenuta tristemente famosa: «Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare».
Foto segnaletica di Gramsci in carcere
Ma il cervello del pensatore di Ales non si lasciò mai intimidire e, anzi, dalla prigione pugliese di Turi (dov’era stato trasferito e dove conobbe il futuro presidente Sandro Pertini) cominciò a scrivere i famosi Quaderni dal carcere. Trentatré quaderni scritti dal 1929 al 1935, in cui Gramsci raccolse le sue riflessioni. Famose furono anche le sue lettere ai famigliari, in particolare alla moglie e alla madre. A quest’ultima scrisse: «Vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato, ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini».
Intanto, le sue condizioni di salute divennero sempre più precarie: oltre al morbo di Pott e all’arteriosclerosi, soffrì di ipertensione e di gotta. Fu liberato solo il 21 aprile 1937, quando ormai era gravissimo e morì sei giorni dopo. Fu cremato e le sue ceneri riposano nel cimitero acattolico di Roma.
A più di ottant’anni dalla sua scomparsa, il suo pensiero viene ancora studiato in tutto il mondo.
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